Nel nome del Padre

Eccomi di nuovo a narrare una delle tante vicende dell’ambientazione di Vampire: the Requiem!

Stavolta mi sono voluta concentrare su una congrega specifica, la Lancea Sanctum.
Ci tengo a precisare, come nello scorso articolo, che non ho seguito tutto il manuale alla lettera, anche perchè ci sarebbero veramente troppe cose da dire!

Detto ciò, buona lettura!
Sofia Starnai
Gruppo letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.it

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Gennaio 2017, Roma, Sotterranei.

I  Dannati  non  creeranno  nessun  loro  simile,  perchè  prendere  una

decisione  simile  nei  confronti  di  un’anima  è  un  atto  che  spetta  di  diritto  solamente  al  giudizio  di Dio.

L’Inquisitor Maior chiuse di scatto il libro che teneva nella mano destra e levò lo sguardo verso i presenti nella stanza, due occhi di brace che riuscivano a risaltare nonostante la maschera gli coprisse parte del volto, così come il sangue sulle fasciature ai palmi delle mani spiccava sul suo incarnato cadaverico.

Le stimmate, le avevano detto.

Non l’aveva visto mai prima d’ora, ma aveva sentito parlare di quello sguardo penetrante e l’aria spettrale che aleggiava attorno a quel dannato, un antico Nosferatu la cui potenza di sangue era palpabile, quasi schiacciante.

Quegli occhi d’ira in quel momento stavano guardando proprio lei, che sebbene tenesse il capo chino, sapeva che l’Inquisitore aveva posato l’attenzione sulla sua misera ed esile persona.

“Questo dice il terzo Precetto del Testamento di Longino.” disse flemmatico “Eppure…”

La sensazione schiacciante si fece opprimente. Dalla gola le uscì un sibilo sordo che si confuse con i ringhi e altrettanti mormorii agitati degli altri vampiri tutt’intorno.

L’uomo accanto a lei ringhiò a sua volta, più contenuto, lo sentì irrigidirsi: cercò il suo viso con la coda dell’occhio e lo vide perfettamente immobile, neanche un battito di ciglia.

“… voi siete qui, Lucrezia.”

Rabbrividì, suscitando un piacere malsano nell’Inquisitore che continuò la sua arringa con un ghigno vittorioso sulle labbra:

“Non dovevate esserci. Voi eravate umana e tale dovevate rimanere: era prescritto dal disegno divino!”

Posò il Testamento di Longino sul tavolo alle sue spalle e fece qualche passo in avanti, apparentemente casuale.

Poi, con tranquillità, mise mano all’elsa del pugnale appeso alla cintola e lo estrasse dal fodero con un gesto secco.

La lama ondulata luccicò alla luce fioca delle candele e per un attimo poté intravedere delle incisioni, senza riuscire a decifrarle, poi, presa da una terribile consapevolezza, cercò istintivamente l’uomo accanto a lei, stringendosi contro il suo braccio.

Al contatto lui sembrò svegliarsi dallo stato di stasi e, buttandosi in ginocchio di fronte all’Inquisitore, esclamò:

“Punite me, lei non poteva saperlo! Io ho peccato, io devo fare ammenda!”

“Sicuramente” replicò il Nosferatu lapidario “E pagherete cento volte più del dovuto, visto che siete un Inquisitor Minor, Federico. In ogni caso, volete anche la punizione della vostra progenie? Bene, sarete accontentato.”

Fece un cenno guardando oltre le spalle del vampiro inginocchiato e di Lucrezia che in un attimo si sentì afferrata per le braccia e trascinata via. Lottò con tutta sé stessa, scalciando, scalpitando, urlando, ma i due che la reggevano erano molto più forti e con poco sforzo riuscirono a portarla fuori dalla stanza.

Erano due Crociati, così le aveva detto Federico, facevano parte del braccio armato della Lancea Sanctum, la congrega di cui lui e anche lei faceva parte anche se da poco tempo.

Aveva passato cinque anni dal suo Abbraccio a imparare cosa significasse essere un vampiro, il suo sire era stato paziente e le aveva insegnato ciò che c’era da sapere sugli usi, i costumi, i poteri che il clan di cui faceva parte, quello dei Ventrue; aveva letto a fondo il Testamento di Longino, i dogmi, i Precetti: sapeva che la sua condizione era una maledizione e che l’esserci arrivata per mano di qualcun altro era un peccato, ma nonostante questo non riusciva a pensare che in quel momento Federico stesse prendendo la sua punizione.

Le sue urla si stavano propagando per tutto il palazzo ed erano strazianti: sentiva contorcersi le viscere.

“Non preoccupatevi, Lucrezia. Soffrirà un po’ ma poi starà meglio. E’ volere di Dio.”

Non aveva visto entrare quel vampiro e, vista la sua stazza minuta ed esile, non era stato lui a portarla lì dentro.

No, lui era Edoardo Borgia, un Mekhet.

Mai fidarsi di un Mekhet, le aveva detto Federico, sono subdoli e voltafaccia. Hanno mani ovunque…sono come le ombre. Ci sono sempre.

“Come fate ad essere così devoto?” chiese, tirando su col naso “Dio ci ha maledetto, no? Come fate a pregarlo ancora?”

Pregarlo?”

Uno dei due Crociati, un pallido uomo dagli occhi vitrei e segni di bruciature sul collo le si avvicinò abbastanza minacciosamente per guardarla bene in viso.

“Li hai letti i cazzo di libri, ragazzina?”

Lei annuì, impercettibilmente, spostando lo sguardo altrove.

“Mi sembra di no… e che c’è, sono brutto forse? Non mi guardi in faccia, sei irrispettosa quanto quel melodrammatico di tuo padre…”

“Basta, Settala. Non vedete che è sconvolta?”

Il Crociato fece una smorfia sdegnosa. Lei, di sottecchi, sbirciò la sua figura massiccia e orripilante.

Una croce pendeva dalla sua cintola, ciondolava placidamente seguendone i movimenti, scontrandosi spesso con il fodero di una spada, la cui elsa era macchiata di sangue rappreso sul ferro arrugginito.

“Ah, certo” sbottò “Ora sei passato alle Ventrue, Borgia? La Barberini ti ha già stancato?”

“Non osate…”

L’altro scrollò le spalle, come se non avesse importanza quel dibattito o forse lo stesso Borgia, e tornò a guardarla con occhi severi. Poi, con tono grave, le disse:

“Dio maledisse Longino, un uomo con una vita riprovevole, per aver trafitto il costato di suo figlio: egli divenne una creatura della notte, un predatore, e condusse la sua non esistenza convivendo con questa punizione. Noi non preghiamo come i mortali. Noi non siamo come i mortali. Siamo vampiri, condannati alla dannazione e a sperare che ci venga conferito il perdono.”

Si abbassò per fare in modo che il suo viso combaciasse con quello della giovane vampira e, con un sibilo, continuò:

“Bada bene a come parli, perché stavolta ti sei salvata, ma certe affermazioni e certe insinuazioni qui non sono permesse. Non ci sarà il tuo paparino a salvarti il culo quando l’Inquisitor Maior mi darà il permesso di scuoiarti…e lo farò, sappilo, non sarà un bel visino a fermarmi.”

Lucrezia non rispose e nemmeno si mosse. Rimase inchiodata sulla sedia per tutto il tempo e anche dopo che i due Crociati ebbero lasciato la stanza, in cui calò un silenzio interrotto solo dalle urla provenienti dai sotterranei. Una volta che pure quelle furono finite, cercò di precipitarsi dal suo sire, ma Edoardo le prese con dolce fermezza un polso e le disse che forse non era il caso che lo vedesse adesso.

“Starà bene?”

“Le sue ferite si rimargineranno nel giro di due notti. Non abbiate timore.”

Lo sapeva, ma ancora faticava a crederci, un po’ come molte cose dell’essere una vampira, del resto.

Il Mekhet la guardò come si guarda un neonato in fasce e le chiese di parlargli di lei, di quando era ancora in vita.

La infastidiva tremendamente l’essere considerata ancora troppo giovane, ma d’altro canto come poteva essere diversamente? Erano passati solo cinque anni da quella notte settembrina, solo cinque anni e nonostante questo si era impegnata per dimostrare a suo Padre di essere degna di essere presentata alla società e alla Lancea Sanctum: ci teneva a renderlo orgoglioso e al tempo stesso temeva di aver fatto il passo più lungo della gamba affrettando i tempi.

Ed eccola lì, totalmente spaesata, dentro una stanza di un palazzo a Roma, con un completo sconosciuto che stava cercando di sondarla facendosi dichiaratamente gli affari suoi.

Probabilmente, se si fossero conosciuti in un contesto diverso, con ancora il sangue a circolare nelle vene e il cuore a battere nei loro petti, sarebbe stato diverso.

“Edoardo” disse all’improvviso “Chi è quel dannato, quel Settala?”

Il ragazzo esalò un profondo e inutile respiro.

“Quello è Rodrigo Settala.” Le disse “Un Nosferatu o Spettro che dir si voglia. Non ci vuole molto a capire il perché, no? E’ un grandissimo bastardo, come avrete potuto notare. Statene alla larga il più che potete…ve lo dico per il vostro bene. Non conosce pietà, non conosce compassione. A volte mi chiedo perché sia un Santificato…”

Semplice , pensò la giovane, è un devoto molto fervente. Si sa: i credenti più ligi sono quelli più pericolosi…

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Nei sotterranei la festa era già finita. Da un po’ non sentiva le leggiadre melodie emesse dall’Inquisitor Minor di Roma, Federico D’Angiò: la cosa lo indispettiva alquanto.

Rodrigo Settala imprecò a bassa voce mentre scendeva ai piani inferiori.

Se non fosse stato per quella piagnucolosa della sua progenie e il coglione Borgia mi sarei potuto godere lo spettacolo dal vivo e magari prenderne anche parte.

L’Inquisitor Maior sicuramente gli avrebbe concesso un sano fendente di spada o anche un pugno, ne era certo.

Cazzo!

Non amava il D’Angiò, non ci voleva molto a capirlo. Non aveva una gran simpatia per i Ventrue a prescindere, tutti perfettini con il loro concetto di essere re, il potere, l’ambizione: per lui erano solo gran parolai e buoni a nulla.

In ogni caso, nonostante le divergenze, aveva sempre cercato di mantenere con loro un rapporto “cordiale”, ossia evitare di fracassare loro il cranio ad ogni parola pronunciata; tuttavia Federico d’Angiò lo metteva veramente a dura prova tanto era fastidioso.

Si erano scontrati spesso per questioni di fede e più volta si era chiesto perché diamine fosse un Inquisitore e a tale domanda non aveva mai trovato risposta.

Per questo si era sfregato ben bene le mani quando era venuto a sapere che quell’idiota aveva pure procreato e, senza farselo dire due volte, era andato volentieri a dirlo all’Inquisitor Maior, il quale lo aveva lodato per la sua tenacia e fedeltà.

E quella ragazzina? Troppo giovane. Solo un’incosciente l’avrebbe Abbracciata e un altrettanto incosciente le avrebbe permesso di mettere piede nella società dei dannati dopo nemmeno cinque anni.

Folle, imbecille e privo di senno di un D’Angiò.

Nei sotterranei non c’era più nessuno. Il sangue fresco macchiava una fetta di pavimento e si dilagava a schizzi e macchie su tutta la tovaglia del tavolo sacrificale al quale sedeva l’Inquisitor Maior, con la maschera calata di fronte a sé.

Gli occhi di brace paradossalmente erano la cosa più vicina all’umanità che avesse su quel viso bianco come il marmo, costellato di venature verdastre e violacee. Sul cranio era disegnata una croce col sangue ma Rodrigo sapeva bene che quelle ferite in realtà fossero auto inflitte e che quel disegno fosse un solco sulla carne putrescente.

Il Nosferatu s’inchinò umilmente ma il vecchio Inquisitore gli fece cenno di alzarsi.

“E’ già finito lo spettacolo?”

“L’Inquisitore D’Angiò adesso giace nelle sue stanze. Lo attende un lungo periodo di riabilitazione, prima di poter di nuovo calcare queste scene.”

Meno male. Un rompicoglioni in meno.

“Non è questo di cui dovremo occuparci da qui alle prossime notti.”

L’Inquisitore era molto serio, cosa che Rodrigo nel corso degli anni aveva imparato a decifrare bene: c’era qualcosa di grosso in ballo e presto ne sarebbe venuto a conoscenza.

Il fatto di essere entrambi degli Spettri e la sua lealtà all’antica fede dei Santificati gli aveva permesso di avvicinarsi maggiormente a quel vampiro, un membro della famiglia De’ Ricci, rinomata per la sua diretta discendenza con la Mater Sanguigna Caterina De’ Ricci: in molti anni di servilismo e crociate a favore della congrega, si era meritato la sua fiducia e, vista la sua posizione, valeva molto.

“Dobbiamo salvaguardare il Granducato di Toscana, da secoli territorio della Mater Sanguigna e ormai da troppo profanato dal sudicio sangue dei Borbone.”

“Mph. Quegli Invictus non riescono proprio a non accontentarsi, devono venire a comandare anche a casa di altri.”

“Casa nostra.” precisò seccamente “Della Santa Caterina, dei Gethsemani suoi figli e dei Santificati.”

Alzò le mani insanguinate e s’indicò un palmo:

“Vedete Rodrigo? Vedete questi segni? Le stimmate che ella aveva quando fu Abbracciata, simbolo della sua fedeltà a Dio! Ella era una devota in vita e la figlia più dannata quando quel Nosferatu l’abbracciò. Divenne Arcivescovo di Firenze, forza unificatrice della congrega, e che sia io maledetto se non dovessi riuscire a riavere ciò che ci spetta di diritto.”

L’espressione sul volto del Gethsemane divenne iraconda e, con un sibilo, concluse:

“Non saranno dei baroni e baronetti da quattro soldi a portarci via la Toscana.”

Il crociato fece un ghigno compiaciuto.

Ci sarà da spaccare qualche testa. Non vedo l’ora…mi prudono le mani da troppo tempo.

L’altro quasi parve leggergli nel pensiero, tant’è che ghignò anche lui in modo complice e aggiunse:

“Arriverà il momento in cui sfogherete la vostra ira, buon Rodrigo, con me e altri crociati sul campo, ma non adesso.”

Si alzò dal suo scranno e si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Nonostante fosse un semplice gesto “amichevole”, Rodrigo emise un ringhio basso e quasi atono: stare di fronte a quel dannato e alla sua potenza di sangue era ogni volta una sfida. Ormai era certo di avere la sua fiducia ma comunque sia, il De’ Ricci sarebbe stato capace di schiacciargli la testa con un semplice schiocco di dita o di mandarlo in torpore senza nemmeno permettergli di accorgersene.

La sua Bestia era più forte della sua e lì dentro non era più cacciatore, ma preda.

“Ho sentito che all’ultimo eliseo ci sono stati dei tafferugli: spiriti che hanno fatto visita e minacce. Cosa si sta facendo a riguardo?”

“Il gruppo degli Esorcisti si è messo a lavoro, ma da quel che ho capito ci sono i megeriti che s’intromettono.”

“Ah!” l’Inquisitore fece una smorfia di sdegno “Quei rozzi sporchi di sangue e fango che puzzano di eresia da due miglia ancora girano per questi territori?”

“Le nostre leggi parlano chiaro: tutte le cinque congreghe devono esistere.”

“E infatti lo dicevo io che andavano estirpati subito come la gramigna dai campi di grano!”

Questo vecchio quando ci si mette è veramente uno spasso.

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Marzo 2017, Roma, rifugio dei  D’Angiò.

“Sei sicura della tua scelta?”

Il volto di Federico era abbastanza scuro, come se cercasse di dissuaderla anche se invano: ormai aveva deciso e non aveva intenzione di tornare indietro.

“Padre, in questi mesi ho visto abbastanza da essere convinta di ciò che voglio rappresentare nella Lancea Sanctum.”

Da ormai tre mesi aveva assistito a diverse interferenze spiritiche in un luogo come l’eliseo che, in teoria, doveva essere un posto sicuro per tutti i dannati, un potere impalpabile che impedisse che gli uni si accapigliassero agli altri; tuttavia a questo potere non erano vincolate altre entità maligne.

Aveva deciso di diventare un’esorcista perché quella le sembrava una via da seguire, combattere gli spiriti e i fantasmi, rispedire quelle eresie ultraterrene nel loro mondo e agli altri Santificati, Inquisitori, Vescovi e Sacerdoti, lasciare il resto: le messe, le cacce eretiche nelle congreghe e le disquisizioni politiche.

Il suo Sire non si era dimostrato troppo entusiasta ma forse era dovuto al fatto che non apprezzasse il capo degli esorcisti di Roma, il Borgia, che a detta sua era arrivato al vertice solamente per vie traverse, più precisamente inerpicandosi tra le sottane dell’Inquisitrice di Milano, Elena Barberini.

Vero o no, lei era ferma nella sua decisione e nemmeno lui l’avrebbe fatta ricredere.

Edoardo, d’altro canto, non aspettava altro: aveva accolto immediatamente la sua richiesta e già le stava insegnando qualcosa, aveva anche detto che lei era dotata di un talento naturale e che sarebbe diventata ben presto capace.

“Non preoccupatevi per me” gli disse, cercando di rassicurarlo “Sto imparando a gestire Edoardo. Tutto sommato è un bravo insegnante…”

Impetuosamente Federico le prese le mani con fermezza, talmente tanta che la giovane s’irrigidì.

“Dovrai riferirmi qualsiasi cosa vi diciate. Qualsiasi. Sai bene che non mi fido di quelli come lui…”

Eliseo di Aprile 2017, Roma

Mentre Francesco di Roccabrivio presentava la serata a nome dell’Ordine del Drago, Lucrezia lasciò che lo sguardo si posasse di dannato in dannato, senza soffermarsi su qualcuno in particolare. Schierati intorno a lei c’erano tutti i Santificati di Roma, davanti i più importanti e dietro quelli come lei che ancora contavano poco o niente.

Svettava la figura spettrale dell’Inquisitor Maior che le dava le spalle, un pesante mantello lo copriva interamente dalla testa ai piedi, a tratti scucito e macchiato di fango; immediatamente accanto figurava il Vescovo e, più a destra, il suo Sire. Lo guardò in tutta la sua fierezza e compostezza, degna di un Re e di un Inquisitore, di cui portava il vessillo alla mano destra.

Era un anello con un’ametista, lo avevano tutti gli Inquisitori, così come i Vescovi ne avevano uno con lo smeraldo e un Arcivescovo con lo zaffiro.

“Questa notte dobbiamo avvicinarci ai megeriti”.

Con la coda dell’occhio riconobbe la figura di Edoardo alla sua destra e contemporaneamente incrociò lo sguardo severo del suo Sire che, con lentezza, scosse la testa.

Si passò velocemente la lingua sulle labbra e annuì al Mekhet al suo fianco, senza emettere verbo.

“Soprattutto con il Gerofante.”

Lo cercò con gli occhi e lo trovò, sul lato sinistro della stanza, con tutto il Circolo della Megera al suo seguito, come un vero leader che si rispetti.

Era un uomo basso, tarchiato, sulla trentina e perennemente sporco di terra: sul viso, sulle braccia, sugli abiti e da quello che aveva capito da vari dialoghi con altri Santificati, era solito praticare dei riti pagani, sacrificare vittime e fare del sangue d’innocenti la sua moneta privilegiata di scambio con il mondo degli spiriti.

Lo scrutò con circospezione osservandone i particolari del viso: gli occhi incassati e cerchiati da profonde occhiaie, sangue fresco a ornargli la pelle con strani simboli a lei sconosciuti e un disegno al centro della fronte, stilizzato, a forma di toro. Inarcò un sopracciglio e Borgia, che aveva seguito il suo sguardo, le sussurrò prontamente:

“Il Minotauro. Dicono sia il nuovo alpha dei Gangrel e che tutti debbano mostrare la loro devozione con un simbolo sulla pelle.”

“E’ una cosa sciocca.” Sentenziò Lucrezia una volta concluso il discorso di Roccabrivio “Un disegno sulla pelle non basta per guadagnarsi la devozione dei propri sudditi. Ci vuole forza, autorità e mostrare fermezza.”

Borgia fece un sorrisetto sghembo e annuì, placidamente.

“Lucrezia, siete sicuramente una Regina. Il vostro sangue non mente.” La prese sottobraccio ed insieme iniziarono a camminare per la stanza “Badate bene, però: qui non stiamo parlando di Ventrue o tanto meno dei Mekhet. Qui parliamo dei Gangrel…i Selvaggi. Le Bestie. Ragionano per branchi, riconoscendo un capo, un alpha, come accade con i lupi, per esempio.”

“Ma Edoardo, non siamo anche noi Bestie? Non ce l’abbiamo anche noi, pronta a uscire?”

“Sì. Sì! Ma per i Gangrel è diverso. Loro sono più affini alla loro Bestia interiore rispetto a me e voi.”

 

La giovane esorcista lanciò un’altra occhiata al Gerofante, seduto a un angolo della stanza con il gruppo del Circolo della Megera. I loro sguardi s’incrociarono per qualche istante.

Quegli occhi…sembrano veramente quelli di un lupo.

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Rodrigo, dall’angolo della stanza più oscurato di tutti, scrutava la zona con fare pensieroso. Era inquieto, più del solito: la non chiarezza di tutta quella strana situazione lo tormentava, soprattutto perché aveva una sospetto recondito e non era certo neanche di quello.
Tutte quelle apparizioni esoteriche, sei in tutto, tra Dicembre e Marzo, di cui tre in eliseo ai danni di altri dannati posseduti, erano sintomo che evidentemente qualcosa non andava.
E perché gli Esorcisti se ne stavano con le fottutissime mani in mano?
Che cazzo stava facendo Borgia, oltre che farsi la Barberini mensilmente, a piccole e comode rate?
Lo Spettro fece un grugnito ricolmo d’ira.

Un manipolo di demoni dall’Abisso si manifesta minacciando la nostra estinzione e il Capo degli Esorcisti cosa fa?!

Il caso a volte è strano, davvero. Proprio in quel momento entrarono nella sua visuale Edoardo e Lucrezia, sottobraccio, che parlavano fitto fitto con i visi tremendamente vicini.
Rodrigo soffocò un’imprecazione colorita: lo fece solamente perché con tutta probabilità avrebbe bestemmiato.

Ah beh. Tutto torna.

Poi vide qualcosa che lo fece sghignazzare di gusto proprio all’angolo opposto al suo, sullo stesso lato: D’Angiò, furioso come non mai, che a stento reggeva il bastone da passeggio nella mano destra e fremeva ogni qualvolta il giovane Mekhet si avvicinava troppo alla ragazzina.

Oh-oh, ma guarda un po’. Mi mancava proprio un bell’incesto a completare il quadretto.

“Ho qualche informazione, Settala.”

Lorenzo Del Farga, suo compare Crociato e delle peggiori malefatte che avesse mai fatto in non-vita, gli era comparso a fianco, poggiato al muro con lo sguardo rivolto alla sala.

“Alla riunione dei Gangrel è uscito fuori qualcosa: addirittura i Monterumici sapevano più di me. I Monterumici! Non avrei mai immaginato che gli Invictus potessero essere più avanti di noi in cose esoteriche.”
“Vallo a dire al coglione Borgia.” Glielo indicò con il mento e l’altro rise.
“Beh, allora sarete contento di ciò che sto per rivelarvi.” Abbassò la voce e Rodrigo tese l’orecchio per sentirlo meglio.

“Sono quattro. Fanno parte di una specie di Confraternita, non ho idea di cosa sia e se esista una cosa del genere…”
“Quattro demoni…quattro cavalieri dell’Apocalisse…”
Del Farga annuì.

“Ci ho pensato anche io. In ogni caso, il Gerofante è stato vago sulla questione e non mi aspettavo diversamente: quello i demoni o spiriti, come li chiamano i megeriti, li vuole proteggere.”

Certo. Non mi sorprenderei che si venisse a scoprire che lui e la sua banda di sconclusionati abbiano trovato un modo per farseli, i demoni. Una roba pagana con sacrifici di vergini magari, sì, quelle cose che piacciono tanto a loro.

“Bene. Andiamolo a dire all’Inquisitore De Ricci e anche allo sbarbatello esorcista: voglio proprio vedere la sua faccia quando…”

Un tonfo sordo riecheggiò nella stanza, seguito da una voce femminile e acuta che già aveva sentito.
Al centro della stanza, in ginocchio, c’era Lucrezia D’Angiò che gridava terrorizzata su un corpo scosso da crisi convulsive.
La massa di capelli ricci e fulvi gli impediva di vedere l’identità del dannato, ma non serviva perché il suo nome rimbombava ovunque tra le quattro mura: quello era Edoardo Borgia.

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“Edoardo!”

Il Mekhet giaceva al suolo, scosso da violente convulsioni. Il corpo era un pezzo di legno e sul volto c’era un’espressione di terrore che riusciva a farle accapponare la pelle.
Cercò nuovamente di toccarlo, scuoterlo ma non ci riuscì: si sentì afferrata per i capelli da una presa salda che la tirò via, allontanandola dal vampiro.
Quando si rialzò, di fronte a lei c’erano i due Crociati che l’avevano portata via quando Federico fu punito nei sotterranei. Il Nosferatu, con un ringhio, le intimò di stare indietro e lei obbedì: come avrebbe potuto fare altrimenti?
I fremiti continuarono per qualche istante e poi cessarono definitivamente. Tutti i presenti rimasero a fissare il corpo esanime, spade sguainate e muscoli tesi.
Poi, come se fosse tirato con un filo da un invisibile burattinaio, Edoardo si mise in piedi e dalla sua bocca uscirono quattro voci che all’unisono dichiararono:

Noi siamo la Confraternita.
Noi siamo la salvezza.
Unitevi a noi o soccomberete.
Unitevi a noi e il sole rivedrete.”

E null’altro. Il vampiro si afflosciò su se stesso e cadde rovinosamente al suolo.
Ci furono minuti di silenzio che sembrarono anni.
Una sensazione sinistra aleggiava nell’aria, simile alla quiete fragile di fronte a un cielo nero, pronta ad essere spezzata dalla prima goccia di pioggia temporalesca; solo che in quel momento Lucrezia sentiva che quella rottura sarebbe stata più forte, un rombo di tuono, uno schianto di un lampo contro un albero e l’avvilupparsi delle fiamme sulla corteccia.

Fu la voce dell’Inquisitor Maior a rimbombare, gridando all’eresia. Si unirono molti Santificati, altri soccorsero il Borgia portandolo via dal centro della bufera.
Presto i toni si fecero troppo elevati tra Lancea Sanctum e Circolo della Megera, non poche volte il custode dell’Eliseo dovette intervenire per bloccare una probabile rissa.

“NON CI SARA’ UN ALTRO DANNATO POSSEDUTO!” tuonò infine l’Inquisitore De’ Ricci “QUEI DEMONI SARANNO ELIMINATI!”

Lucrezia non sapeva cosa sarebbe successo, ma una cosa era certa: da quel momento in poi gli Esorcisti avrebbero dovuto entrare nel vivo dell’azione.

Veramente.

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Maggio 2017, Roma. Rifugio della Lancea Sanctum.

Rodrigo picchiò tre colpi secchi contro la porta della biblioteca. Non gli importava niente se dentro ci sarebbe il “vincolo del silenzio” e nemmeno di chi ci potesse essere dentro: doveva trovare subito una persona, era una questione urgente.

Ah, fanculo

Ed irruppe nella stanza.
Lucrezia era in piedi, accanto a una libreria. Sapeva che l’avrebbe trovata in biblioteca perché Del Farga l’aveva vista entrarci un’ora fa e non ne era mai uscita.
Una volta tanto era divisa da Borgia e dal suo caro paparino: il Nosferatu sapeva che era un’occasione più unica che rara e per questo doveva sfruttarla bene.
La osservò nella sua esile figura, minuta, se non fosse stato per quella specie di criniera leonina che aveva al posto dei capelli. Pure lei lo scrutava e non solo in quel momento: aveva beccato più volte i suoi occhi chiari soffermarsi su di lui con un’attenta espressione, come se lo stessero studiando ben bene.
Un’immagine gli si stampò nella testa e si tradusse in un sorriso sadico che gli deturpò ancora di più il volto già ributtante di suo.

“Voglio parlare.” Iniziò, tanto per chiarire. “Su cosa stanno facendo gli Esorcisti per ciò che riguarda la Confraternita.”
Sembrò sorpresa e non poteva certo biasimarla.

“Potete parlarne con Edoardo.”
“Borgia è un incompetente. Tu invece mi sembri furba, ammesso che abbia intuito bene.”

E cadi nella tela, piccola farfallina.

La vide socchiudere gli occhi e fare quell’espressione tipica dei Ventrue, del loro orgoglio e superiorità sfrontata.

“Ebbene. Parlate allora.”

Rodrigo annuì fingendosi compiaciuto. In realtà lo era davvero, ma anche vittorioso: Lucrezia era fragile e ancora inesperta del mondo della notte; paradossalmente era quella che avrebbe potuto dirgli i fatti più vicini alla verità di ciò che stava accadendo con gli Esorcisti, proprio perché senza filtri e congetture tipiche di chi invece è sulla giostra da anni.
Da marzo, da quell’eliseo incriminato, si erano susseguiti altri due casi di possessioni e nell’ultimo i quattro demoni avevano posto un ultimatum per scegliere da che parte stare, giugno del corrente anno.
La questione si stava facendo anche fin troppo seria e dai piani alti qualcuno si stava cominciando a stancare dei giochetti.
Più precisamente il De’ Ricci aveva espressamente ordinato che tutto fosse risolto, altrimenti sarebbero saltate delle teste.

“Non lo so, Rodrigo.”

Lucrezia sospirò e si lasciò andare su una sedia, sconfortata.

“Voi avete delle idee su Edoardo, ma cercate di credermi quando vi dico che ci siamo veramente dati da fare per cercare di scoprire dove trovare i luoghi dove dormono i quattro demoni.”

Freneticamente prese a sfogliare pagine e pagine di un antico manoscritto, estraendo poi un foglio pieno di appunti con una mappa stilizzata.

“Vedete? Ci sto lavorando, notte e giorno. Eppure…ogni volta che sembriamo essere vicini alla soluzione, il luogo non è più quello. Capite? Andiamo lì e non ci sono più movimenti occulti nell’area. Come se quelle creature sapessero che stiamo per braccarli… è possibile, Settala?”

Merda. Merda!

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Eliseo di Maggio, Roma.

Una musica soffusa cullava la giovane esorcista e per qualche istante le fece dimenticare di tutta la tensione che, nonostante un valzer o una mazurca, si sentiva e quasi si poteva toccare con mano in tutta la stanza.
Anche Edoardo, che di solito era molto flemmatico, aveva un nervosismo che a stento riusciva a celare: ogni tanto lo vedeva battere impazientemente il piede per terra, tamburellarsi le ginocchia o le cosce, spostare lo sguardo qui e là, come se temesse di soffermarsi troppo su una zona e tralasciarne altre.

Non mi sorprende. Ogni Eliseo è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, non solo per le possessioni…

L’Inquisitore De’ Ricci squadrava ogni megerita che gli capitava a tiro, sembrava quasi soppesarli: i suoi occhi di brace erano quelli di un mastino pronto a saltare sulla sua preda e non dissimili erano gli atteggiamenti degli avversari, soprattutto quelli del Gerofante, ancora più imbrattato di sangue per l’occasione.
Se non ci fosse stato il potere dell’Eliseo e le tradizioni da non violare, probabilmente a quest’ora avrebbero già sguainato le spade o affilato gli artigli gli uni nelle carni degli altri.
In tutto ciò, si accorse che Federico non era nella stanza. L’aveva visto uscire con l’Eccellenza Adelina Colonna, una nobile del Primo Stato di Milano con cui doveva intrattenersi per questioni legate al clan, ma ormai erano passati più di una trentina di minuti e di lui non vedeva traccia, mentre lei era seduta a cincischiare con gli altri nobili Invincibili.
E se…

No, non voglio pensarci.

Il palazzo dove era stato organizzato l’Eliseo era immenso quanto sfarzoso. Lucrezia vagò per i corridoi affacciandosi di tanto in tanto alle stanze che trovava aperte e origliava dalle porte chiuse per capire se dentro ci fosse qualcuno o meno, ma soprattutto se ci fosse il suo Sire.
Alla fine decise di tornare alla sala da ballo, pensando che fosse stato trattenuto da qualche altro colloquio privato ma inavvertitamente si perse e fu proprio mentre cercava di recuperare il suo scarso senso dell’orientamento che sentì due voci maschili provenire da una stanza in fondo a uno dei corridoi.
Non lo fece con cognizione di causa ma l’istinto che la fece muovere a passi felpati fino a fermarsi alla porta socchiusa. La voce che stava parlando non l’aveva mai sentita prima:

“Quindi gli Esorcisti si stanno avvicinando di nuovo alla Cripta. Maledizione. Non potreste mettere loro i bastoni tra le ruote?”
“Sto già provvedendo a sabotarli, ma voi dovete cambiare zona.”

Lucrezia si schiacciò contro la parete e rimase a boccheggiare, incredula.

“Bene.”

Un fruscio e rumore di passi. Poi, un attimo di silenzio. La voce sconosciuta riprese a parlare:

“Non capisco perché non vogliate entrare nel Circolo della Megera. Il Gerofante ha già approvato la cosa, mi sembra…logico, no?”
“No. Vedete, spero di poter far capire il mio punto di vista pur mantenendo ciò che sono: io non sono un megerita, Della Rovere.”

Le mani dell’esorcista premettero più forte contro la parete.

Se mi vedranno, mi uccideranno.

Non si mosse.

NASCONDITI!

Meccanicamente si staccò e ripercorse il corridoio a grandi passi, cercando di essere veloce e al contempo non troppo rumorosa, almeno fin quando non svoltò l’angolo: si precipitò nella prima stanza aperta e libera, socchiudendo la porta.
Avrebbe voluto gridare ma sapeva che i due uomini erano ancora nella stanza o magari anche nel corridoio, non poteva rischiare, doveva tacere e aspettare.
Lo fece.
Quando uscì, non fu il suo cervello a farle muovere le gambe, arrivare davanti a quella porta, alzare il braccio e premere la maniglia verso il basso e spingerla.
Non fu il suo cervello a farla entrare nella stanza vuota, uno studio ammobiliato con una libreria per lato, le gambe si mossero ancora incontrollate verso quella scrivania di mogano, di fronte a una vetrata scura che dava su uno scorcio di città.
Qualcosa lì dentro, però, era tremendamente familiare.

Un anello con un’ametista. Un anello da Inquisitore.

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Più tardi, Stanze dei D’Angiò.

Lucrezia stava seduta di fronte alla toeletta dallo stile vagamente barocco, spazzolandosi placidamente i capelli. Guardava lo specchio senza vedersi, ma sapeva di avere un’espressione che non lasciava dubbi: non era mai stata brava a mentire, nemmeno nella vita umana.

“Cosa ti succede?”

Quella domanda, tra le tante che il suo Sire aveva detto, la penetrò come una stilettata in pieno petto.
Si voltò.
Tra le dita teneva l’anello con l’ametista e, sollevandolo appena, mormorò:

“Questo è tuo.”
“Ah, lo hai trovato tu, per fortuna.” Glielo prese dalle mani e se lo mise all’anulare destro.

Il gesto sembrò risvegliarla da una lunga catalessi e, con un ringhio soffocato, esclamò:

“Della Rovere, Federico.” Si alzò e gli piantò addosso due occhi di fiamme “Ti ho sentito.”
“Lucrezia?”
“TI. HO. SENTITO!”

Cercò di colpirlo ma non ci riuscì: lui fu più veloce nel prenderle i polsi.

“Tu…” lacrime rosse le sgorgarono dagli occhi, rigandole le guance “Schifoso bastardo…hai tradito tutti i Santificati…hai tradito me! Quei demoni…”
“Shh. Lucrezia…”
“Mi hai sfruttata! Ogni cosa che ti dicevo…tu la vendevi a…a…quelli là.
“Lucrezia, ascoltami! Lo so che adesso per te sono solamente un traditore…ma ti prego, tu devi ascoltarmi!”

Le lasciò lentamente i polsi e rimasero in silenzio, lei in attesa e lui indeciso su come continuare.

“Quelli non sono demoni, ma angeli. Essi ci porteranno veramente alla salvezza divina!”
“Sei pazzo. Pazzo! Siamo destinati alla dannazione eterna, non ricordi il Testamento, la storia di Longino? E cosa dici di tutti quei fratelli posseduti? Le minacce?”
“Mia cara, anche gli angeli possono essere corrotti. Forze oscure stanno cercando di strappare la loro purezza e convertirli al male e noi, noi dobbiamo salvarli.”

Continuarono a discutere per tutta la notte fino all’alba, quando entrambi si coricarono. Nel silenzio dei loro corpi, all’angolo, accanto a un grosso guardaroba, improvvisamente comparve una figura, massiccia e pallida.
Rodrigo Settala fece un ghigno.
L’attesa aveva dato i suoi frutti.

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Due notti dopo…

“Questa notte siete qui per essere testimoni del destino di chi compie un’eresia.”
L’Inquisitor Maior guardò tutti i presenti nel sotterraneo per poi avvicinarsi all’uomo inginocchiato e incatenato, lentamente, come se pregustasse ciò che stava per accadere dopo.
Anche l’altro Nosferatu, il Crociato, non stava più nella pelle.
Erano mesi che aveva un dubbio, che ci fosse una falla nel sistema, una talpa: le parole della D’Angiò, quel giorno in biblioteca, glielo avevano confermato, dandogli adito a indagare.
Aveva osservato tutti, indistintamente e, alla fine, era arrivato alla conclusione che fosse proprio l’odiato Inquisitore romano a rientrare nei suoi sospetti.
Così, in Eliseo, vedendolo allontanarsi con la Colonna, si era appartato e aveva usato i suoi poteri da Spettro per oscurarsi alla vista altrui e poterlo seguire.
La giovane esorcista non sapeva di non essere sola quando, dietro la porta di quello studio, aveva riconosciuto la voce di Federico; Rodrigo era lì, esattamente all’altro lato della porta, con un’espressione maligna e trionfante sul volto.
Dopo aver scoperto del tradimento dell’Inquisitore D’Angiò non aveva aspettato molto prima di andarlo a dire al De’ Ricci e la sua sentenza lo aveva fatto eccitare quasi quanto l’effetto di una bella donna nella vita umana.
Si leccò le labbra, famelico: sentiva la lama vibrargli nel fodero, smaniosa di essere estratta.
La progenie invece, la ragazzina, era atterrita e perfettamente immobile. I capelli scarmigliati le coprivano il volto e, insieme alla camicia da notte, erano un chiaro testimone del fatto che i due erano stati presi alla sprovvista, appena svegli.

Adesso che paparino sta per andarsene cosa farai, ragazzina?

Condivideva pienamente il destino dell’eretico. Quel bastardo aveva non solo fraternizzato con i megeriti sabotando la congrega, ma aveva dato prova di perseguire le sue eresie con una convinzione che faceva rabbrividire lo stesso Inquisitor Maior.

Demoni salvatori…angeli corrotti e diventati demoni…mah! E’ un pazzo. L’ho sempre detto che era da tenere d’occhio e il tempo mi ha dato ragione.

Oltre a questo, era anche d’accordo su ciò che sarebbe successo alla sua progenie: perché uccidere qualcosa di fortemente plagiabile? Era praticamente argilla fresca da poter modellare e poi era molto, molto ingenua.
Sempre a dover dipendere da qualcuno, già se la vedeva attaccata al Borgia, altro soggettino particolare ma sicuramente meno pericoloso.
Incrociò lo sguardo del Gethsemane e capì che finalmente era arrivato il suo turno. La spada scintillò alla luce fioca; presto si dipinse di rosso cremisi e risuonò delle grida di dolore dell’eretico Federico D’Angiò.

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“Fermatevi, Settala.”

La spada del Crociato si bloccò a mezz’aria, pronta a calare nuovamente sul corpo martoriato del suo sire, Federico.
Aveva cercato di distogliere lo sguardo durante il massacro, ma l’Inquisitore De’ Ricci le aveva ordinato perentoriamente di guardare.
Lei doveva vedere, perché doveva capire.
“Gli errori del Sire si ripercuotono sulla sua Progenie.” Iniziò a dire “Pertanto…”
Gli occhi le si fecero vitrei e un’agghiacciante consapevolezza divenne lampante nella sua testa.

No, no, no!

“…porrete voi fine alla sua esistenza. Portatelo a Morte Ultima.”

Qualcuno la spinse con insistenza verso quello che ormai era solo un corpo perforato da diversi colpi di lama profondi: era un bagno di sangue.
S’inginocchiò.

Mi dispiace.

Doveva farlo. Doveva sopravvivere.
I loro occhi si incrociarono e lo vide annuire, consapevole.

Mi dispiace!

Inghiottendo l’aria, cacciò un urlo e si avventò sulla sua gola.
Ciò che accadde dopo fu confuso e ovattato. Lei era lì, ma in realtà non c’era, ciò che sentiva era solo il sangue che le colava sul mento e si asciugava, tirandole la pelle.
Vide il corpo di Federico mentre veniva portato via. Vide l’Inquisitore parlare in sua direzione, anche se lei non capiva cosa stesse dicendo. Vide Rodrigo in ginocchio, a ricevere le onorificenze per il suo atto di fedeltà e lealtà.
In quel momento ci fu come uno scatto, come quando si accende un interruttore generale per far partire un intero sistema che aspettava solamente la giusta energia per attivarsi:

Crescerò, diventerò forte, da sola. Quando arriverà il momento, lo giuro, ti ucciderò, Rodrigo Settala. Vendicherò mio Padre e godrò quando i miei canini affonderanno nella tua gola.
Morirai.
Ti torturerò, in nome del Dio che ci ha maledetti.
Questa sarà la mia missione, prima di espormi alla luce del sole.