Bentornati sulle pagine di questo blog, per una nuova puntata dei diari del game designer. Di cosa si tratta? Principalmente di una lunga chiacchierata con un autore di giochi di ruolo per mettere a nudo i processi e le idee che portano una semplice idea a divenire un gioco fatto, finito e pubblicato.
Questa rubrica ha un obiettivo principale: dare risalto ai tantissimi autori che abbiamo in Italia e che, ognuno a suo modo, contribuiscono a mantenere il mercato del gioco di ruolo vitale e in continuo sviluppo.
In questi diari troverete idee e teorie, ma principalmente discorsi concreti: e tramite le parole dell’autore stesso, capiremo cosa spinge alla creazione di un gioco, quali processi creativi, e sopratutto, il personale modo che ognuno avrà di intendere il game design. Un’attività impegnativa ma anche divertente.
Oggi ho il piacere di ospitare Mauro Longo, autore di lunga data con tantissimi progetti pubblicati sia in ambito Giochi di ruolo che narrativa.
Mauro: Ciao a tutti, ho 38 anni, sono laureato in archeologia e ho fatto finora tanti (troppi) lavori, tra cui direttore di scavo e di museo, divulgatore culturale e giornalista. Da anni vivo all’estero e vivo di scrittura, nel senso più ampio del termine: copywriting, blogging e social media, per esempio. Ho iniziato a giocare di ruolo ormai 25 anni fa e da circa 6-7 anni sono autore professionale di narrativa, gdr e librogame. Professionale, non professionista, nel senso che non vivo di questa attività ma la approccio in maniera assolutamente professionale, come se fosse la mia attività principale.
Il primo gioco non si scorda mai e per me il titolo di gioco-imprinting va a Uno sguardo nel buio Edizione Base, la primissima versione del più famoso e giocato gdr tedesco, ormai arrivato a una splendida Quinta Edizione. Oggi quei due manualetti sono quello che definirei piuttosto un “gioco di avventura”, con talmente poche regole (e talmente tradizionali) che il focus della sessione è tutto nell’immedesimazione dei giocatori, piuttosto che in aspetti ludici o narrativi. Ricordo che all’inizio non avevo i soldi per comprare il regolamento e presi solamente le avventure, per poi ricostruire a posteriori le regole da questi. Fu uno sforzo notevole, ma che mi aiutò molto nel cominciare a ragionare su dadi e meccaniche. Secondo input: Heroquest e D&D Scatola Nera, ovvero l’ultima versione introduttiva del D&D Basic, con avventura da giocare su mappa. Entrambi questi giochi mi hanno portato a ragionare molto su quadretti, mappe, miniature, raggi di visuale ed elementi simili, tutte cose che ancora oggi apprezzo ancora moltissimo.
E ancora: i librogame, di cui sono cultore, collezionista, critico e autore. Con le loro regole in solitaria e di gruppo, le infinite combinazioni possibili di meccaniche e le varie possibilità dei regolamenti delle decine di serie esistenti sono stati un’ottima palestra mentale. Venendo a un’era più recente, ho giocato e apprezzato molto i due grandi capisaldi degli anni ‘2000, ovvero D&D 3.X e Pathfinder, e dunque tutto il D20 System, anche quando declinato nelle sue altri varianti principali. Tengo fuori da questo ragionamento tutti gli altri giochi a cui ho giocato (decine) o di cui ho solo studiato il regolamento (centinaia), perché su e da ciascuno di essi mi piace ragionare e prendere qualcosa, ma niente che mi abbia influenzato tanto come i titoli che ho elencato.
Per me la cosa più divertente nello scrivere giochi è creare il mondo di gioco, il flavour, il focus e lo stile: ovvero il ragionamento generale che sta alla base dell’idea e le sue caratteristiche principali. Trovo meno appassionanti i dettagli secondari (ma necessari) delle meccaniche. In giochi molto dettagliati, ad esempio, talenti, vantaggi, bonus, malus e così via… Insomma tutte quelle cose che necessitano di estremo bilanciamento, attenzione e continui test, per non avere un gioco buggato.
E ora qualche domanda più specifica per capire meglio l’autore Mauro Longo!
C’è un filo conduttore tra tutte le tue opere? Guardando al passato con l’esperienza di oggi cosa cambieresti di ciò che hai fatto?
Mauro: da un punto di vista strettamente commerciale, i tre giochi che ho pubblicato in maniera ufficiale sono tre Savage Setting per il gioco best-seller Savage Worlds, nonostante in questo momento stia lavorando ufficialmente (e segretamente) ad altri brand. A questi aggiungerei alcuni sistemi per librogame e i miei contributi al Venture System di Umberto Pignatelli e all’High Stakes di Andrea Sfiligoi. Ma andando al sodo, parliamo dei miei Savage Setting: Tropicana, Ultima Forsan e Imago Mortis. Il filo conduttore per i tre titoli (a parte ovviamente il sistema di gioco) riguarda l’ironia di fondo (più o meno marcata), la spiccata propensione all’action e all’avventura, piuttosto che alla narrazione e ai conflitti interiori, e il massiccio uso di citazioni e cammei che infilo da ogni parte, anzi, che costituiscono spesso l’ossatura e l’idea base di setting e avventure. Ironia, Azione e Citazioni direi che sono i tre aspetti fondamentali della mia cifra stilistica. Non cambierei nulla di sostanziale di quanto fatto finora. Ho creato tre linee di gioco di cui sono ancora molto orgoglioso e probabilmente oggi ci metterei metà tempo a riscriverle, ma raggiungendo lo stesso obiettivo.
La tua impressione sul mercato del gdr italiano? E su quello internazionale?
Mauro: Trovo che in entrambi i casi stiamo assistendo a un momento di crescita e miglioramento. La situazione è “challenging” e piena di opportunità. Anche la spinta propulsiva dei giochi più sperimentali dei decenni scorsi è stata ormai recepita dal mainstream e il game design ragionato è diventata un’esigenza imprescindibile del gioco di ruolo moderno. Ci sono i presupposti per fare tanto e fare bene.
Cosa consiglieresti a chi si approccia al game design?
Mauro: Se l’esigenza è amatoriale, e cioè di fare dei giochi per sé e i propri circuiti, il consiglio è di sperimentare, osare e fare, fare, fare. Se parliamo invece di un’esigenza commerciale il consiglio è quello di guardare alle cose con gli occhi del marketing: Cosa vogliono i giocatori? Cosa c’è già in giro? Cosa posso fare di più originale o migliore di quanto già esiste? In entrambi i casi, di studiare molto gli altri giochi, giocare tantissimo e far giocare tantissimo il proprio prototipo. I giochi si scrivono, raffinano e completano (o si scartano) giocandoli.
Dicci qualcosa del tuo modo di fare design, del tuo approccio e di quali criteri usi nella creazione di un tuo gioco.
Mauro: parto da un’idea, da un concetto, da uno spunto. In teoria da qualcosa che non è coperto molto dai giochi esistenti. “Dov’è il dinosauro?” si dice in narrativa ovvero… dov’è l’elemento originale che avrebbe SOLO il mio gioco? Una volta identificati i concetti chiave e il nome (fondamentale), ragioniamo in termini di game experience: cosa faranno i giocatori al tavolo? Dove sarà il divertimento? Quali saranno le situazioni tipo? Quali sono le avventure tipiche? E le prime verifiche: ma questa cosa è divertente? Suona bene? Non è troppo deprimente, ripetitiva, noiosa, inconsistente eccetera…? Se questa fase è superata, si passa a definire meccaniche generali e ambientazione. Credo molto nell’importanza dell’ambientazione (anche in termini aperti e non tradizionali) rispetto a quella del motore di gioco. Non mi piace giocare a “questo regolamento o quell’altro” ma vivere avventure, storie e missioni eccitanti in mondi fantastici o adrenalinici. Dal tipo di sessione, di avventura che ho in mente tiro fuori poi le parti meccaniche che mi servono e ci lavoro su. Man mano che sviluppo una parte dell’ambientazione (o della game experience) allora cerco di ricreare la regola corrispondente. Alla fine, le meccaniche devono essere per me come il trucco in un gioco di prestigio: meno si vedono e meglio è.
Progetti futuri?
Mauro: Le tre linee di Savage Worlds continuano, in italiano e inglese. Ho poi in corso 3-4 progetti ufficiali con altrettante case editrici italiane. Non posso ancora dire molto a riguardo ma si parla anche di realizzare qualcosa per Fate, il che mi rende molto felice. Come nel caso di Savage Worlds, lavorare con la base di un gdr best-seller generico da adattare permette di usare un sistema rodato, testato, diffuso e performante, e concentrarmi su quello che ritengo più interessante e divertente: ambientazione, concept, flavour, avventure e adattamenti alle regole. In pratica, il lavoro più spinoso è già fatto e resta da tagliare e cucire l’ottimo materiale base per rendere il meglio dell’idea che abbiamo in mente.
Come è strutturato il tuo processo creativo? Segui dei passaggi o vai di getto nella stesura del manuale?
Mauro: come ho già detto, di solito parto dal generale, metto dei punti fermi e poi vado mano mano affinando i dettagli. Mi fermo circa all’80% del lavoro e poi procedo ad alpha e betatest, prima di continuare. Preparare una cosa all’80%, poi buttarla in pasto ai giocatori e ai blindtester, infine con i feedback ricevuti aggiungere il 20% mancante e sistemare quanto già fatto. A quel punto una ripassata di vernice, una prosa resa più accattivante, una streamlining dei testi e delle regole, e infine la release.
Adoro scrivere avventure, generatori e campagne, e mi piace molto il worldbuilding. Quest’ultimo però non dev’essere un’enciclopedia o una barbosa sequenza di posti, nomi e date. Inutile, a meno che non mi venga chiesto espressamente. Piuttosto una ambientazione deve essere un insieme di spunti di gioco, dicerie, idee di avventura, suggestioni che facciano scattare l’immaginazione dei giocatori e dei narratori, e agganci alle regole usate. Non riuscirei mai a scrivere un regolamento senza pensare al mondo (o al tipo di avventure) in cui questo va ad applicarsi.
Cosa manca secondo nel mercato attuale del gdr?
Mauro: la nuova frontiera commerciale del settore sono secondo me i giochi per genitori che fanno giocare i propri figli: la versione “family game” dei gdr. Molti se ne sono accorti e stanno correndo a riempire il mercato: No, thank you evil, Hero Kids, Bubblegumshoe e tanti altri. Sento anche la mancanza di giochi di avventura fatti bene, in stile tradizionale ma con qualche trovata più moderna.
Esistono temi che non porteresti mai in un tuo gioco. E temi che invece reputi fondamentali?
Mauro: mi piace creare giochi leggeri e allegri: azione, caciara, risate, pallottole vaganti, avventura, mistero e vetri rotti dappertutto. I giochi davvero horror o intimisti non fanno per me e nemmeno argomenti pesanti tipo torture, violenza esagerata, sopprusi eccetera. Anche nel mio gioco più cupo, Imago Mortis, preferisco tenere questi aspetti in secondo piano e puntare il focus invece su paranormale, mistero, indagine e azione.
Un gioco di ruolo per me deve essere manipolabile il più possibile, al contrario di uno da tavolo. Compito di un autore deve essere per me dare un’atmosfera e uno stile di gioco ben precisi (e magari avventure o mondi da usare) e un sistema di regole solido e performante, senza bug ma con tante varianti possibili, come una cassetta degli attrezzi. Da questa base, trovo giusto che ogni gruppo trovi il proprio modo di giocare e divertirsi, a volte anche rompendo il gioco perchè no?
Per concludere, dovessi scegliere un sistema in commercio su cui adattare il tuo prossimo progetto quale sceglieresti?
Mauro: trovo stimolante e efficace lavorare su sistemi già rodati, come Savage Worlds e Fate. Per questo, il massimo sarebbe puntare in alto fino al Re di tutti i giochi di ruolo e scrivere qualcosa per D&D 5. Chissà…
Se questo diario vi ha incuriosito potete seguire tutti i progetti di Mauro direttamente dal suo blog: Caponata Meccanica!