Buongiorno a tutti!
Come preannunciato nello scorso articolo, da oggi inizia un nuovo progetto di cui leggete il titolo proprio qua sopra. Se ve lo siete perso, vi invito ad andarlo a leggere, questo perchè vi è scritto e spiegato perchè abbia deciso di abbandonare (momentaneamente), la scrittura narrativa a tema vampiri e di buttarmi in questa nuova avventura.
Fatta la premessa doverosa, direi di cominciare.
Di solito chi si mette a parlare di giochi di ruolo è qualcuno che li mastica da tempo, che conosce i manuali, che ha partecipato pure a qualche sessione live o cartacea…
E poi ci sono io.
Io non sono, nell’ordine:
1) esperta giocatrice live;
2) esperta giocatrice cartacea;
3) esperta conoscitrice dei manuali e tutte le cose in essi contenute;
4) …esperta, fine.
Cosa sono? Una giocatrice di ruolo. Nabba, ma abbastanza appassionata da essersi messa in gioco andando contro alle proprie attitudini: direi che sia un bel punto di partenza.
Oltre a questo, credo che il giocare di ruolo sia un’esperienza formativa a tutto tondo e che dovrebbe essere incentivata nelle sue forme più pure e semplici.
Momento serietà finito.
Ho intitolato questa pagina di diario “Il traumatico inizio” per un motivo.
Le mie rocambolesche peripezie di giochi live è iniziata esattamente 4 anni fa, nell’aprile del 2014.
Ora, la mia esperienza – risicata – di giochi di ruolo si limitava ai play by chat. Conoscevo quindi il concetto di immedesimarsi in un personaggio, ma è chiaro che farlo da dietro una tastiera a metterlo in pratica con il proprio corpo sia una cosa un tantino diversa.
Già nel cartaceo c’è una parvenza di interpretazione e, ma nei play by chat devi rendere il tuo pg solo scrivendo: per farvela semplice, magari state ruolando e contemporaneamente vi guardate una serie tv e, tra una pausa e l’altra, scrivete la vostra azione.
Insomma, non si è focalizzati al 100% sulla giocata, l’interpretazione e tutto il resto: un player può scrivere un’azione stupenda e ricca di sentimento, ma cosa ne sai tu se mentre si diletta in sinestesie e sineddoche, si sta limando le unghie degli alluci?
Insomma, è un’altra storia.
Ecco, io arrivavo da questo mondo fatto di arcobaleni e unicorni, fatto di land, avatar tutti strafighissimi e romanzi scritti a più mani.
Passare al live è stato…traumatico, per l’appunto.
Non ci sono schermi, non ci sono tempi di attesa: hic et nunc è il motto dei giochi live.
Sei tu, con la tua faccia, sei tu, con la tua voce, sei tu con il tuo corpo che dai vita a un personaggio, lo muovi, gli dai spessore, lo fai interagire o defilare.
Alla mia prima sessione live ho dovuto creare il personaggio. R
icordo il colloquio con il master, scheda alla mano, lui che mi elencava cose, pallini, poteri…
Ed io, in rigoroso silenzio assenso, non osavo ammettere di non capirci un beneamato accidente di tutta quella roba.
Quando sono uscita da quella stanza l’unica cosa che sapevo era che ero un vampiro, che avevo un nome e un clan e che provenivo da una certa città.
Fine.
Nonostante volessi fuggire il più lontano possibile, pensai: sono 3 ore, una volta finita mi dimenticherò di tutto e tanti saluti.
Dopo il time in, ovvero l’avvio della sessione, diciamo che tutto si è svolto in modo tranquillo.
Esteriormente parlando.
Io, nella mia testa, continuavo a dire: “Ma che diavolo ci faccio qui con ‘sta gente?”
Inutile dire che la mia interpretazione lasciò molto a desiderare. Se ci ripenso mi viene da ridere, ma da una parte evidenzia una specie di legge non scritta, un comandamento per il giocatore nabbo che si approccia per la prima volta a un live: gioca te stesso.
Eh sì: alla fine in una situazione di disagio, la comfort zone è proprio trincerarsi dietro i baluardi di ciò che si conosce bene, ovvero sè stessi.
E non c’è niente di sbagliato nel farlo, è naturale.
A maggior ragione se è il primissimo personaggio che una persona crea, è inevitabile che molti aspetti del player si riversino nel pg, questo perchè alla fine quel pg non ha una faccia diversa, ma proprio la sua…ma questo è un discorso esteso che affronterò successivamente.
Così, la mia prima sessione giunse al termine. Al grido del time out, esalai un sospiro di sollievo e pensai: “Sì dai, non è stato così malaccio, ma giuro che, quant’è vero Dio, non mi rivedranno più”
…sono atea, per inciso.
E infatti sono ancora qua.
Con questo termina l’articolo. Spero vi sia piaciuto questo primo tassello di un progetto ideato un po’ per caso ma che, credo, possa regalarvi un sorriso.
Alla prossima!
Sofia Starnai
Gruppo letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.com