Bentornati al diario della giocatrice di ruolo imbranata, la rubrica onesta di una nabba alle prese con il mondo del gioco di ruolo, in particolare quello legato al World of Darkness.
Dopo una pausa dovuta a una serie di sfortunati eventi, oggi voglio parlare di una figura fondamentale in qualsiasi gioco voi vogliate cominciare: il master.
Mi viene in mente una delle prime scene di Stranger Things, con ragazzini che giocano a DnD, un gruppo di amici alle prese con avventure fantastiche create da uno come loro: un ragazzino, appunto.
Con il master c’è complicità e interfacciarsi con lui è estremamente semplice, perché sta seduto al tavolo accanto a noi: dubbi, perplessità, chiarimenti possono essere risolti hic et nunc, contando sulla sua assoluta disponibilità.
Nei live?
Eh. Nei live è diverso. Molto diverso.
Partiamo da un presupposto: spesso e volentieri il narratore non lo conosci. Arrivi alla tua prima sessione perché terzi te lo hanno consigliato, ti presentano una persona, il narratore, con cui creare il personaggio e da cui riceverai le prime informazioni basilari per muoverti nel setting. Se conosci il narratore che si occupa di sessioni live di qualsiasi tipo di gioco di ruolo…beh, sei molto fortunato.
Proprio per questo, spesso, l’apparato narrativo (perché in un gioco di ruolo live è matematicamente impossibile che ci sia un master solo), risulta un organo abbastanza freddo con cui interfacciarsi.
Esattamente l’opposto rispetto a un master di gdr cartaceo. Ma anche qua: dipende dalla situazione.
Nel mio caso di nabba patentata ho sempre percepito i narratori come delle entità aliene che sì, risolvono dubbi e perplessità, ma lo fanno con la formalità (un po’ spersonalizzante), che si usa per scrivere al Magnifico Rettore di qualsivoglia università.
Eccessivo? Forse un pochino.
I giocatori sono persone, che si interfacciano con altre persone.
Da una parte, però, tutta questa formalità si rivela necessaria.
Come abbiamo detto, i narratori di un gdr live sono molti, sicuramente più di due, a meno che non si gestisca una cronaca a livello locale. In ogni caso, nel momento in cui si crea un intreccio che coinvolge diverse zone, diventa fondamentale che l’apparato narratoriale lavori esattamente come una macchina: ogni tassello deve combaciare perfettamente, per evitare incoerenze e buchi di trama.
Ragion per cui ogni cosa, davvero, ogni cosa, deve essere condivisa con tutti i narratori, che daranno il loro consenso o meno. Nel secondo caso si aprono discussioni, che allungano i tempi di risposta e che portano inevitabilmente a non risolvere subitissimo i problemi o a mandare avanti una certa trama.
Oltre a questo, un narratore deve preparare la sessione. Sì, anche nel cartaceo succede, ma organizzare una sessione da tavolo è diverso da organizzarne una live.
Dove avviene l’incontro? La location è adatta? Che tipo di arredamento ci vuole? Quali personaggi non giocanti deve inserire per portare avanti le trame? Cosa fare se i giocatori sono delle teste di legno e non seguono le briciole che ha sapientemente lasciato sul sentiero?
E in quest’ultimo caso ci sarebbe da aprire una parentesi: le trame sono state proposte in modo corretto?
Per far capire quello che dico faccio un parallelismo: un insegnante somministra una verifica ai suoi alunni. Tutti prendono un brutto voto, pure chi normalmente era eccezionale.
Di chi è la colpa? Degli alunni o dell’insegnante?
Di quest’ultimo. Il codice usato non era adatto o, in parole povere, la verifica era troppo difficile.
Stessa cosa succede con un narratore alle prese con giocatori che non colgono le sue trame.
Se di 20 giocatori tutti e 20 hanno la percezione che non ci sia una trama e tu, narratore, sei sicuro di aver gettato tutte le basi…
Beh, rivedi il tuo schema.
Se invece tu narratore, ti trovi ad avere a che fare con giocatori che hanno paura di mettere a rischio il proprio personaggio, chiudendosi a riccio e non cogliendo gli indizi che stai mandando manco fossero missili nucleari…
Purtroppo puoi farci ben poco.
Come ho detto precedentemente, nei giochi live l’immedesimazione è più profonda, perché si è noi in prima persona che affrontiamo determinate situazioni in sessione, ragion per cui è più facile cadere nell’errore di…immedesimarsi troppo.
In un gioco da tavolo il master getta le trame e difficilmente vengono lasciate a sé stesse.
Un narratore di live invece deve barcamenarsi anche nella temibile paura di perdere il personaggio, che porta ad un’apatia controproducente e sicuramente poco divertente.
In ultima analisi: il lavoro back office.
Nei cartacei una volta finita la sessione ci si alza dal tavolo e ci si rivede la settimana dopo. O dopo un mese. Insomma, non importa il tempo che passa, il tempo di gioco si ferma nell’esatto momento in cui finisce la sessione.
Nei live la cosa è leggermente diversa.
La sessione finisce, ma il tempo di gioco va avanti. Di quanto dipende dal tipo di gioco: tra una sessione e l’altra può passare un mese in real life e nemmeno un giorno in game o viceversa, poco tempo off game e tantissimo in game.
In tutto questo, i personaggi comunicano? Dipende.
Ci sono realtà che permettono comunicazioni in game “massive”, nel senso che potenzialmente i personaggi potrebbero scambiarsi messaggi ogni giorno; altre realtà concedono periodi precisi per comunicazioni telematiche e così via: in tutti i casi i narratori tengono conto di ciò che succede fuori dalla sessione, perché ogni scambio potrebbe influenzare la trama.
Ora, immaginatevi una cronaca che copre cinque città sparse per l’Italia.
Una cinquantina di personaggi che mediamente si scambiano 2, 3 mail di settimana in settimana.
Eh, viene su un bel numero di messaggi da leggere, lo so. Se poi il tempo tra una sessione e l’altra è molto dilatato, quel numero è destinato ad aumentare.
Come dicono: da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Sofia Starnai
Gruppo letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.com