Il racconto inizia a tingersi dei suoi elementi più oscuri: Patrick Swann si allontana dalla sua York per scivolare lentamente nei suoi demoni interiori, seguito da un improbabile amore ritrovato. Anche questo è il Mondo di Tenebra: un orrore intimo, personale e per questo più angosciante.
Per chi volesse un piccolo ripasso delle puntate precedenti può leggere qui
Affrettando
Mentre Patrick ascolta le parole della ritrovata compagna, si china a raccogliere la macchina fotografica di Allie.
“Cosa fai?”
“La mia collega ha il vizio di fotografare ogni cosa. Forse è riuscita a inquadrare anche quella… cosa”
“Non sono sicura che sia una buona idea”
Ma il ragazzo sta già scorrendo le foto.
Un’immagine dopo l’altra, le vicende di questa folle notte si ripetono dinanzi ai suoi occhi. Patrick ha sempre trovato un bizzarro piacere nell’osservare il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, per constatare come l’orrore ordinario non sia solo uno dei suoi tanti demoni, ma l’inevitabile realtà.
Ma questa è una folle notte, e nel sottofondo di una sospesa melodia, l’ordinario non ha posto.
L’ultima foto raffigura il corridoio in cui Patrick si trova ora.
“Ecco, ora forse…”
E la frase gli muore in gola.
Nella foto, si intravede ancora una volta l’enorme sagoma mostruosa. Eppure, nonostante la luce del flash, questa continua ad essere adombrata, come se perfino la macchina fotografica si fosse rifiutata di imprimere in sé quell’orrore. Ma non è questo a togliere il fiato a Patrick.
Guardando più in basso, sul pavimento, non c’è alcuna traccia del sangue. Né di un corpo femminile disteso a terra. Non c’è assolutamente nulla in questa foto, se non la grande ombra dell’essere aracnide.
Lentamente, Patrick solleva il capo in direzione di Yulia.
“Perché mi guardi?”
Lo sguardo del giornalista ricade sulla foto. La controlla ancora una volta, consapevole della futilità del suo gesto, ma non vuole crederci.
No, lei è lì con lui. La foto deve avere inquadrato dall’angolazione sbagliata. Allie deve avere sbagliato, non c’è altra spiegazione. Deve essere così, sì.
La macchina fotografica viene lasciata cadere a terra, colpevole di un crimine inesistente. Quasi a deriderla, la melodia sale di tono quando l’obiettivo si infrange.
“Avevi ragione. Non si vede niente”
“Non mi ascolti mai. Abbiamo già perso troppo tempo… e non ho idea di dove sia finita la tua collega”
Lui la prende per mano. Ne sente la tensione, il calore. E’ viva, è viva.
Allie si è sbagliata. Come ha potuto sbagliarsi proprio ora?
“Forse l’ha presa quella cosa”
“Allora dobbiamo aiutarla!”
“Sì… dobbiamo”
Yulia ricambia lo sguardo, e annuisce decisa. Proprio come lui la ricorda.
Nuovamente uniti, i due iniziano a correre lungo il corridoio per il quale la creatura era fuggita.
E mentre la melodia non dà loro alcuna tregua, l’ambiente di quel corridoio inizia a cambiare: al buio iniziano ad aggiungersi sottili filamenti che pendono dal soffitto.
Ragnatele. Sempre più grosse, sempre più fitte, fino a quando anche correre diventa troppo avventato, per il pericolo di rimanere impigliati in quella trappola mortale e richiamarne così l’essere che le ha generate.
Purtroppo, non tutti hanno avuto una tale lucidità.
“Oddio, Patrick…”
Il giornalista solleva lo sguardo, seguendo quello della compagna. E’ così che si ritrova a fissare un bozzolo dalla mutilata sagoma umana. E poi un altro, ed un altro ancora.
Con folle lucidità, il giornalista realizza dove siano finiti gli addetti alla sicurezza dello Yorkshire Museum.
“Dobbiamo liberarli!”
Patrick scuote il capo.
“Non possiamo. Quei bozzoli sono troppo in alto, ed anche se trovassimo un modo per raggiungerli, attireremmo l’attenzione.
Possiamo solo proseguire, e sperare che Allie non sia qui”
E, proprio come la speranza, anche il corridoio giunge al suo termine.
Una grande parete di ragnatela sbarra la via, impedendo di passare oltre. Una decina di bozzoli pendono tutt’intorno, immobili nel loro ultimo sonno.
Ma davanti ai due, in lacrime e tremante, si trova Allie.
Intrappolata nella ragnatela, ma ancora non avvolta in essa. Lasciata ad attendere la morte, o la pazzia, a seconda di quale delle due si rivelerà più pietosa di lei.
Subito, Yulia corre nella sua direzione.
“Resta tranquilla, ti liberiamo noi ora!”
Invece, Patrick rimane immobile. Osserva la fotografa che è venuta meno alla sua fiducia, proprio quando era più importante. Come può fidarsi ancora di lei? Come può essere certo che non lo condurrà ancora in errore?
Come può essere certo che quello che stanno facendo ora non sia un errore?
“Aiutami!”
Con un sospiro, il giornalista ricaccia i suoi sospetti, almeno per ora.
Ma anche con gli sforzi congiunti, l’impresa si rivela più ardua del previsto: più Allie si agita, più la tela sembra stringerla a sé, gelosa della sua conquista.
“Patrick, devi calmarla o…”
Con un movimento secco, Patrick colpisce in pieno volto la prigioniera, facendole perdere i sensi.
Nella sua espressione non c’è alcun rammarico. Yulia lo guarda, esitante.
“Ora possiamo tirarla fuori da lì. E’ stato per il suo bene”
E sebbene lo sguardo dell’investigatrice non sembri convinto, alla fine i due riescono a liberare la sventurata ragazza.
“Bene, e ora…”
Solo per udire uno stridente sibilo alle loro spalle.
La ragnatela è stata spezzata, e così l’attesa del suo creatore.
Requiem
Alle loro spalle, la creatura raggiunge il suolo. Patrick non ha idea di che rumore possa produrre un ragno di quelle dimensioni, ma ciò che sente non assomiglia per niente al ticchettio delle esili zampe di un aracnide.
Ciò che sente realmente gli pare impossibile, ma un vero giornalista sa che non esiste l’impossibile. Con mano tremante stringe a sé il cellulare, determinato ad immortalare ciò a cui la sua mente rifiuta di credere.
Patrick si volta, ed il cellulare gli cade di mano.
Non è un ragno.
Il corpo è rigonfio e tremolante, fatto di malsana carne pallida. Dove dovrebbero esserci le fauci, vi è un orribile taglio irregolare ricoperto da denti affilati e deformi. Le otto zampe dell’essere sono braccia umane, con gomiti e polsi spezzati per imitare le fattezze di un ragno.
E dove dovrebbe esservi l’addome, un lungo tentacolo terminante con un pungiglione oscilla lentamente, come la coda di un gatto pronto a scattare sulla sua vittima.
Il ruggito del mostro riecheggia nel cuore di Patrick, e per sempre ne infesterà gli incubi: un boato, ma anche un lamento umano, il cui dolore si mescola alla perfezione con la struggente melodia del carillon.
Il pungiglione scatta senza alcun preavviso, diretto proprio verso l’uomo la cui mente è stata ridotta a brandelli. Ma qualcuno è più veloce, e Patrick si ritrova a terra senza neppure essersi accorto della spinta di Yulia.
“Patrick! Corri!”
Un colpo di arma da fuoco esplode, per rendere l’ordine ancora più perentorio. Il mostro ruggisce il suo tormento mentre il proiettile si conficca nella sua carne putrida.
Patrick non ha idea di dove Yulia abbia preso quella pistola, né gli interessa. Troppo sconvolto perfino per tenere a mente la sua paranoia, stringe a sé Allie e inizia a correre. Yulia è al suo fianco, ma entrambi si rendono conto che non basterà un solo proiettile a fermare il loro inseguitore. Lui troppo veloce, loro troppo appesantiti e sconvolti.
Lei lo guarda una volta, una sola volta, ed in quello sguardo c’è tutto ciò che lui avrebbe voluto vedervi e ciò che non avrebbe mai voluto essere costretto a vedere.
Poi, la ragazza si ferma per prendere la mira una seconda volta.
“Non fermarti! Non fermar…”
Il tentacolo scatta ancora. Ma questa volta il pungiglione si apre come se fosse un fiore, rivelando un volto che, un tempo, doveva appartenere ad un essere umano. Patrick non lo riconosce, non può riconoscerlo, ma Yulia sì. Come impazzita, la ragazza non riesce a fare altro che fissare quel volto, mormorando incessantemente una sola parola:
“Nonno…”
E solo quando una delle deformi mani del mostro si schianta su di lei, Yulia ritorna al silenzio, per sempre.
Il ruggito del mostro ed il grido di Patrick si mescolano nel reciproco dolore. Solo il carillon prosegue, insofferente e distante come solo un Dio sa esserlo.
Ciò che accade dopo si perde tra le lacrime ed i fili di ragnatela. Patrick trascina Allie, ma con ancor più fatica trascina sé stesso. Infine, dolore e follia hanno la meglio sul suo fragile equilibrio: senza alcun rumore, qualcosa in lui cede, ed il mondo si fa buio.
—
“Mister Swann?”
La voce di Allie è accompagnata dall’onnipresente canto del carillon, il Pianto di Caino. Ed è un pianto quello a cui Patrick si abbandona, sotto gli occhi sgomenti di Allie.
“Mister Swann! Non possiamo fermarci ora! Quella cosa è ancora qui nei paraggi… la prego, se rimaniamo qui lei si sarà sacrificata per nulla!”
Il pianto si ferma immediatamente. Negli occhi dell’uomo c’è una strana luce, una che Allie non ha mai visto in lui.
“Yulia non si è sacrificata. Yulia è stata uccisa”
Patrick si alza in piedi. La sovrasta. Istintivamente, la fotografa muove un passo indietro.
“E l’ho uccisa io”
“Cosa?”
“Se non ti avessi colpita, facendoti perdere i sensi, non saremmo stati rallentati. Avremmo potuto provare a fuggire.
Io l’ho uccisa. Per la seconda volta”
Allie china il capo, lasciando che il silenzio introduca un altro rimpianto al cuore di Patrick Swann, dove troppi suoi simili già lo attendono.
“Ma tu hai ragione, Allie: dobbiamo andare avanti. Dobbiamo trovare questo Pianto di Caino, e conficcarlo nella gola di Andrea Rizzo fino a quando non lo vedrò morire sotto questa melodia maledetta”
Senza null’altro aggiungere, Allie osserva il giornalista incamminarsi lentamente verso una rampa di scale, da cui la melodia giunge più intensa. La ragazza si affretta a seguirlo, mossa non da paura ma da pietà.
Perchè neppure Ulisse affrontò da solo le sue sirene.
“Mister Swann… guardi”
Con estenuante lentezza, l’uomo volge lo sguardo: finalmente, dalle scale si riesce a rivedere York. Dalle finestre filtra la luce delle volanti della polizia, ma il loro rumore sembra essere bandito dal museo, come se il carillon non tollerasse rivale alcuno: quella notte di orrore è intima, a nessuno sarà concesso di intromettersi.
Ed a ciò che rimane di Patrick Swann, questo è un compromesso più che accettabile.
[Continua…]