Buon giorno!
Puntuale come ogni mese, torna il tentativo di spiegare Vampire the Requiem della White Wolf attraverso la narrazione, con una nuova congrega da risaltare, il Circolo della Megera!
Inutile dire che come al solito ho scritto tutto nel giro di tre giorni: ormai dovrei abituarmi a questa costante…
In ogni caso, prima di iniziare, vi do un piccolo consiglio che renderà la lettura un po’ più intrigante: se ve lo siete perso, prima di leggere questo articolo, date un occhio a “Nel nome del Padre“, in cui trattavo la congrega della Lancea Sanctum e magari anche a quello dello scorso mese “Sangue di Re”
Non vi spoilero nulla e vi lascio alla lettura!
Sofia Starnai
Gruppo letterario Camarilla Italia
http://www.camarillaitalia.com
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Marzo 2018, Roma, Tempio del Circolo della Megera
“Ho sentito che a Bologna è cambiato il Principe.”
Kaine, stravaccata su una poltrona, inarcò un sopracciglio.
“Sì” rispose “La cittadinanza si era stancata del Monterumici.”
Il suo interlocutore non emise verbo, non subito. Lo guardò celando la sua circospezione: cercò di farlo in modo naturale, soffermandosi sui particolari di quell’uomo sulla trentina.
Si stava rigirando tra le mani tozze un ciondolo a forma di zanna, il cui colore risaltava su quella pelle lercia di terra e sangue secco.
Il Gerofante di Roma sembrava non essere avvezzo alla pulizia personale, solo per il fatto che girasse perennemente sporco e dipinto in viso ma, d’altro canto, era un Gangrel, il sangue più ferale e selvaggio tra tutti quelli della danza macabra.
Voci di corridoio le avevano detto che spesso accadeva che sparisse per ore e tornasse ancora più sudicio; secondo altre dicerie, andava fuori dalla città per trasformarsi in un grosso lupo grigio e correre lontano dalla frenesia notturna della capitale.
Quando incrociarono gli sguardi la Ventrue si perse in quelle iridi ambrate e, per un attimo, le parve di vedere il muso allungato dell’animale sovrapporsi a quello del Gerofante.
“Capisco.”
Fece un sorrisetto.
Tutto qui? Ho spodestato un membro del tuo clan dal trono, un tuo…compagno!
“La Megera ne ha giovato?”
“Sì. Abbiamo molti più luoghi di potere a cui accedere.”
Il Gerofante annuì, veramente soddisfatto. Kaine si rilassò sulla poltrona, anche se non del tutto: sentiva che c’era qualcos’altro che a breve sarebbe saltato fuori.
“Lavoratevelo bene, il Principe Abel.” Disse infine il Gangrel “Soprattutto voi, Kaine.”
La guardò in un modo inequivocabile che la lasciò spiazzata.
Come diavolo ha fatto a…
Una leggera risata aleggiò nella stanza. Il Gerofante aveva ripreso a giochicchiare con la zanna, alternando ogni tanto lo sguardo dal ciondolo alla vampira.
“Siete stati bravi a nascondervi, va ammesso. Tuttavia, non avete fatto i conti con chi vive di informazioni ed è letteralmente, un’ombra della danza macabra.”
Kaine si morse l’interno della guancia. Selenia. Selenia, la sua fidata sottoposta, alla quale aveva evitato di rivelare il suo legame con Abel, era riuscita a scoprirlo lo stesso.
Maledetti mekhet.
“Ho fatto tutto per il Circolo…”
“Non me ne frega un cazzo delle scuse. E’ cambiato il Principe e noi abbiamo più vantaggi di prima: va bene così. Quello che vi sto dicendo…”
Lo sguardo gli si assottigliò, fino a diventare due fessure: per un istante credette di aver sentito un ringhio basso e gutturale, ma forse si era sbagliata; comunque si alzò in piedi, fulminea e agile come un gatto.
Si squadrarono per poco, poi il Gangrel continuò:
“…è di mantenere questo vantaggio. Se questo significherà che dovrete fottervelo, legata e imbavagliata, fatelo. Ora non è più una questione di piacere, Kaine: adesso c’è la politica di mezzo.”
La sciamana strinse un pugno aggrovigliando la stoffa della gonna all’altezza delle cosce.
“C’è sempre stata, Goffredo.” Sibilò a denti stretti “Non consideratemi così sciocca.”
Lui ghignò, scoprendo di poco le zanne. Spiccavano di un bianco quasi abbagliante su quel viso nero di fuliggine, terra e macchie di sangue rappreso.
“Molto bene. Chiarita la questione, parliamo del perché vi ho chiamata qui.”
Kaine rilassò i muscoli e si riavvicinò alla poltrona. Anche Goffredo, con la sua solita andatura caracollante, si era appropinquato a una sedia e, con ben poca grazia, la stava trascinando di fronte a lei.
All’improvviso però, lo vide bloccarsi di colpo, spalancare gli occhi e ringhiare.
Si guardò intorno rapidamente tirando fuori il pugnale dal fodero, ma nella stanza non c’era nessuno a parte loro.
“Che…?”
Un tocco gelido le congelò le ossa.
Sapeva cos’era e guardando il Gerofante capì che pure lui ne era ben conscio.
Dal nulla si iniziarono a sentire delle voci, parole incomprensibili, sussurri e lamenti che diventavano sempre più forti.
“Spiriti!” esordì Kaine cercando di sovrastare le voci “Cosa volete? Cosa volete dirci? Noi vi ascoltiamo.”
Prese la sua collana con il ciondolo a specchio e iniziò a farla dondolare a destra e a sinistra, continuando a chiamare le entità. Vide il sangue del Gerofante zampillare dal polso da una ferita autoinflitta e le parole del suo rito sacrificale si confusero con i suoi richiami fin quando non riuscì a sentire più niente, solo un turbinio di voci confuse, grida e ringhi che divennero presto un unico suono:
“LEI E’ SVEGLIA!”
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Tre settimane dopo, all’Eliseo di Roma
Goffredo Vaccaro era abbastanza innervosito. Tamburellava freneticamente le dita tozze sulle ginocchia mentre, con uno sguardo torvo, scrutava la stanza in cui diversi dannati sedevano o camminavano in circolo, parlottando tra loro.
Lui quella sera non aveva voglia di parlare.
Nemmeno alla riunione dei Selvaggi, in cui di solito era loquace a livelli quasi fastidiosi: si era limitato a grugnire come cenno di assenso e scrollare le spalle.
Uno dei Grifoni dell’Invictus lo aveva più volte guardato in cagnesco, ma invano, il Gerofante non aveva proprio intenzione di discutere di come il Monterumici fosse stato fatto fuori e cosa il Minotauro, l’Alpha di tutti i Gangrel d’Italia, avesse detto in merito.
Da quando aveva messo piede nell’anonimo palazzo delle Ombre, coloro che quella sera avevano organizzato l’eliseo e tutto l’intrattenimento, non aveva fatto altro che sentire presenze spiritiche in fermento, troppe per i suoi gusti.
Al suo fianco, la giovane Kaine Caracciolo era tesa come una corda di violino.
Anche lei stava avvertendo lo stesso suo fastidio, nervoso, quel sentimento che si prova quando si sa come andrà a finire qualcosa di brutto e non si capisce bene come cambiare le carte in tavola.
S’inclinò con il busto verso la sciamana e mormorò:
“Lo sentite anche voi?”
La Ventrue tenne gli occhi fissi apparentemente nel vuoto, poi annuì. Goffredo si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto: aveva sempre visto di buon occhio quella donna, nonostante facesse parte di un clan a detta sua “di impalati so-tutto-io”, aveva dei sensi acuti e una forza spirituale molto alta, nonché un livello del potere di Cruàc niente male.
Di questo passo diventerai presto il capo degli affari occulti della Megera. Dovrò fare quattro chiacchiere con il Gerofante di Bologna…
“Dobbiamo fare un rituale, Gerofante”
Adesso lo sguardo d’ebano della sciamana era rivolto su di lui, penetrante come la prima volta. Non aveva tutti i torti, comunque: la situazione spiritica al momento era troppo instabile e chi meglio del Circolo della Megera poteva cercare di capirci qualcosa?
Nessuno, lì dentro, poteva vantare del rapporto con il mondo degli spiriti quanto loro e nessuno era in grado di comprendere, neanche il surrogato partorito dall’Ordine del Drago con i loro esperimenti e tanto meno la Lancea Sanctum, con l’esorcismo.
Stronzate, un mucchio di stronzate.
Tutti che volevano avere a che fare con una cosa che non gli competeva e nessuno in grado di capirla davvero.
“Guarda guarda…la puttana rossa stasera ce l’ha con voi.”
Il Gerofante aggrottò le sopracciglia. Solo dopo qualche istante si rese conto di essere osservato, insistentemente tra l’altro: gli occhi chiari di Lucrezia D’Angiò erano rivolti verso di lui, senza un cenno di cedimento.
La guardò a sua volta, impassibile. La figura minuta della ragazzina era immobile nel suo lungo abito nero, chiuso ermeticamente fino al mento; al suo fianco svettava la figura massiccia del Settala che ghignava mostruosamente come al suo solito, lei però non faceva una piega.
Di lui sapeva solo che era un Nosferatu e un grandissimo pezzo di merda, nonché spia che aveva portato all’uccisione di uno dei suoi più fedeli alleati, Federico D’Angiò; mentre di Lucrezia sapeva che fosse stata un’esorcista e che adesso fosse un’Inquisitrice, forse la stessa carica che un tempo aveva il suo sire.
“Sai vero che lei e la sua banda di suorine e pretini verranno a romperci il cazzo, mh?”
“Come se fosse la prima volta che la Lancea si indigni per degli spiriti.”
“Demoni” Kaine lo disse a bassa voce, con palese disprezzo “Sono talmente accecati dal loro credo che non riescono a vedere oltre il seminato.”
“Alcuni però ci riescono, dopo molto tempo.”
“Federico D’Angiò è stata una rara eccezione.”
Entrambi tacquero e tornarono a guardare Lucrezia, che parlava con Settala.
“E secondo me” sbottò infine la mulatta “Lo ha veramente fatto fuori lei. Guardala, come si atteggia e come scruta, sembra dire: ho ucciso mio padre, quello che mi ha Abbracciata, il mio grande Amore. Pensa a cosa posso fare a te, che non conti un cazzo.”
Goffredo non rispose, non voleva dare ulteriori valvole di sfogo a Kaine.
Una cosa era certa: i Santificati non si sarebbero dovuti avvicinare alla questione, gli spiriti dovevano rimanere cosa loro.
La Madre, una Megerita anziana di probabilmente duecento anni, gli aveva sempre detto che lo scopo del Circolo, il loro, era quello di proteggere le entità spirituali e da essere trarne forza con l’ausilio della loro magia, la Cruàc. Proprio per questo, ogni Accolito, ogni Gerofante, ogni Corvo doveva lottare per salvaguardia della loro fonte di potere da chi avesse intenzione di distruggerli.
I Santificati, con i loro Esoteristi e l’ideale di eliminare ogni traccia immonda e demoniaca, erano forse la peggior minaccia che ci potesse essere nella danza macabra a cui lui e tutti i megeriti dovevano far fronte.
E stavolta non avevano infiltrati dalla loro parte.
“Prepara gli Accoliti, Kaine. Dì loro di uscire, uno alla volta. Non dobbiamo dare nell’occhio: non possiamo rischiare che ci interrompano.”
La vampira annuì e si staccò dal muro.
“Occhio ai Dragoni.” Le disse infine.
Ne individuò un paio in un angolo, altri a bivaccare per la stanza, altri forse erano per i corridoi del palazzo.
Un apparente giovane ragazzo di ventiquattro anni con un completo cobalto stava parlando con trasporto ad altri due, sempre vestiti di blu o di sue sfumature.
Da quel che ne sapeva, i Dragoni che portavano quel colore erano i più rompicoglioni di tutti sui fatti esoterici: probabilmente erano quelli che nella congrega se ne occupavano, non ne era sorpreso.
Anche nell’Invictus c’era chi s’interessava dell’occulto, ma di fatto erano dei surrogati, venuti pure male, del Circolo della Megera, così pure quei membri particolari dell’Ordine del Drago che ogni volta che usciva fuori qualche nuovo fatto legato all’esoterismo, ne venivano attratti come orsi con il miele.
Copie, copie sbiadite.
Tuttavia, nonostante fossero tutti abbastanza fastidiosi, ce n’era uno che superava l’inverosimile: il ragazzo elegante, Francesco di Roccabrivio.
Kaine lo detestava. Affari andati male, gli aveva detto, quello lì è un figlio di puttana di prima categoria. Non voglio averci niente a che fare, nemmeno con le faccende del clan.
Non la biasimava. Di lui aveva saggiato la supponenza, l’arroganza, la sfacciataggine, l’insolenza, la superbia: tutto nelle faccende romane, non aveva idea di cosa significasse ritrovarselo anche nelle beghe del clan.
Quando ci pensava, si sentiva contento di essere rinato Bestia e non Re.
Lui deve star lontano da tutta la faccenda.
La sciamana parve intercettare il suo pensiero e annuì.
“Me lo leverò dalle palle: stasera non ho pazienza di metter su la maschera.” bofonchiò.
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Accanto al Gerofante c’era una tizia che non aveva mai visto. Bassa, non magrissima e con braccia abbastanza tornite, scura di pelle ma non troppo e con strambi ciondoli che penzolavano sul seno pressoché inesistente.
“Chi cazzo è la negra lì?”
Lucrezia accanto a lui emise un sospiro innervosito. Non le piaceva quando si esprimeva in quel modo, ma a lui non importava niente; era diventata Inquisitor Minor ma non per questo poteva pisciargli in testa con tutta tranquillità, non come avrebbe potuto fare il De’ Ricci.
Rimaneva comunque più anziano di lei che, nonostante fosse cambiata dalla sua prima apparizione nel regno di tenebra, rimaneva una neonata, ancora troppo umana e inesperta su come girasse il mondo tra i vampiri.
“Kaine Tawonga, più recentemente denominata Caracciolo.”
Rodrigo rimuginò per qualche istante ripetendo il cognome straniero come se fosse un mantra, soppesando la figura della megerita come si fa con un pezzo di carne.
“E da che parte di mondo è saltata fuori?”
“Bologna, ma alcuni dicono che sia originaria dell’Africa.”
La ragazzina alzò leggermente il mento, sfoderando quell’atteggiamento tipico del clan dei Re, spocchioso e superbo, che tanto apparteneva anche al suo defunto sire. A volte sembrava quasi che a parlargli fosse proprio lui e che a guardarlo non fossero gli occhi chiari dell’Inquisitrice, ma quelli del D’Angiò stesso, e quel momento, quel preciso momento in cui sollevava il mento e increspava le labbra in una leggerissima smorfia di disprezzo, Lucrezia D’Angiò gli lasciava il posto.
Scosse la testa.
Devo smetterla di nutrirmi di drogati, cazzo.
“In ogni caso, Rodrigo”l’Inquisitrice parlava senza guardarlo “Cosa avete scoperto?”
Si farebbe a dire prima cosa non ho scoperto.
Il fatto è che non temeva tanto la sua reazione, ma quella del De’ Ricci. Non appena aveva saputo dell’inondazione delle catacombe, il territorio principe di tutti i Nosferatu, lo aveva mandato immediatamente a chiamare, dandogli l’incarico di scoprire la causa; quando capì che la questione era sovrannaturale, aveva deciso di affiancargli Lucrezia, visto che aveva dato più prove della sua capacità nell’ambito esoterico e si era dimostrata una brillante risorsa, nonostante la perdita subita qualche anno prima.
Lui aveva un po’ controbattuto, ma il De’ Ricci fu inamovibile.
Con il senno di poi, forse non aveva avuto tutti i torti, Lucrezia era veramente esperta con questioni spiritiche e di fantasmi: non appena ebbe più informazioni reperite dalle stesse catacombe, capì che c’era un qualcosa dietro, di non umano e nemmeno corporeo.
“Il clan dei Nosferatu non sa dove sbattere la testa” bofonchiò, infastidito “E il Circolo degli Straccioni non ci dirà mai un cazzo: lo sapete come ragionano, loro, quando si parla di demoni”
“La Megera, Rodrigo, non sa nemmeno cosa sia, questo demone, non lo gestiscono.”
Il Crociato scrollò le spalle. Non aveva tutti i torti, in fondo: perché far inondare le catacombe dei Nosferatu? Perché dar di nuovo prova di non essere in grado di vivere nella società dei dannati, facendo il cazzo che pareva a loro?
Senza considerare i rischi, le conseguenze: rischiavano di essere buttati fuori dalla città, considerando la migliore delle ipotesi.
“Ho parlato con il Colonna, però. Ci permetterà di vedere i corpi delle vittime ritrovate nelle ultime settimane, sotto la sorveglianza di qualche cavalieretto Invictus.”
La ragazzina annuì senza voltare lo sguardo, lui invece roteò gli occhi al cielo.
Un’eternità con le turbe adolescenziali…minchia che culo!
Non gliene fregava nulla, a dire il vero: a lui bastava che portassero a termine il lavoro richiesto dal De’ Ricci, sgominare la minaccia spirituale e ognuno sarebbe tornato alle proprie mansioni.
Il tempo per i colloqui psicologici ce l’aveva il Borgia, quando non si fotteva la Barberini. Quel ragazzetto voleva infinocchiarsi anche la D’Angiò, era palese, peccato che quella lì fosse una Ventrue, una palo-in-culo per eccellenza: troppo impostata per divertirsi in blande unioni carnali o, semplicemente, troppo arida per divertirsi.
“Non dovrò fare niente di strano” disse, apatica “Solo osservare se ci sono…anomalie.”
“Perché, pensate che abbiano a che fare con lo spirito?”
Una volta tanto la vide sorridere, seppur amaramente.
“Cosa credete che serva per far muovere uno spirito verso una certa direzione?”
Non lo sapeva; era un somaro assurdo, forse l’unico Nosferatu che non s’invischiasse in cose occulte. Lei sembrò capire la sua ignoranza e, sbuffando, concluse:
“Sangue. Gli spiriti vogliono sangue.”
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“Chi manca?”
Goffredo scrutò le facce dei suoi Accoliti, nella penombra del giardino del palazzo. Si erano infrattati in un punto dove la luce non li colpisse direttamente e fosse anche abbastanza lontano per evitare interruzioni.
La voce di Kaine lo fece ruotare di tre quarti verso la sua posizione, quasi totalmente oscurata dalla poca luce e dai connotati fisici e il vestiario sul nero.
“Amalia. L’ho vista parlare poco fa con il Settala, spero sia riuscita a sganciarsi.”
“Ce l’ho fatta.”
La voce soffusa precedette la comparsa dell’ultima Accolita. Il Gerofante fece un passo verso di lei, cosa che bastò a farle vuotare il sacco:
“Settala mi ha bloccata prima che potessi uscire.” Scrollò le spalle “Cose di Nosferatu, l’inondazione delle catacombe ha suscitato un bel po’ di beghe da sbrigare. Il problema, in realtà, è un altro: sembrava volesse cavarmi a forza delle informazioni, come se sapesse qualcosa che a me sfugge.”
Goffredo si rilassò. Nessun Santificato incontrava la sua simpatia: fedi avverse, ideali avversi, mondi inconciliabili e perennemente in guerra, ma il Crociato Rodrigo, la macchina da guerra, non era un grosso problema visto che di spiriti e di cose paranormali non sapeva un accidente.
I veri guai erano altri.
Iniziarono a disporre i preparativi per il rituale. I più giovani e inesperti furono guidati nella disposizione delle pietre per creare il cerchio, mentre lui e Kaine disegnavano i simboli con un composto di erbe e acqua, con ingredienti scelti per il loro significato mistico di concentrazione e visione.
Si disposero tutti attorno al cerchio e lo guardarono in attesa delle ultime specifiche.
“Irrorate con il vostro sangue i ciottoli di fronte a voi, tutto il cerchio deve diventare rosso della nostra vitae. Poi ci prenderemo per mano e io dirò la formula che dovrete ripetere.”
Li guardò uno a uno per sondarne la comprensione.
“Ricordate le parole della Madre: il Coro è la nostra forza. Insieme e solo insieme avremo dei risultati.”
Fu lui il primo, per dare il buon esempio. Si recise il polso sopprimendo un ringhio, poi passò il coltello a Kaine e si chinò sui sassi. Pian piano, taglio dopo taglio, il cerchio divenne dipinto di un rosso scuro, a tratti luminoso per la luce della luna, a tratti confuso con il colore della terra.
Pronunciò la formula e dopo tutti gli altri lo seguirono.
Un improvviso vento si alzò nella zona, scompigliando capelli e increspando gonne. Non era freddo, era strano, sembrava provenire da una porta che era stata chiusa per molto tempo: Goffredo, e con lui tutti gli Accoliti, sapeva che la connessione era riuscita e che gli spiriti stavano fluttuando, invisibili, vicino a loro.
“Cos’è che turba la vostra quiete?” chiese con voce ferma
Ci fu un attimo di confusione di voci, ma alla fine un sussurro polifonico rispose:
“La fiamma nera ha svegliato il suo sonno, la fiamma nera la nutre e la disseta, la fiamma nera è la sua forza distruttiva!”
“Dov’è adesso?”
“Ella si nasconde dietro chi non perdona, chi cova, chi aspetta e brama.”
Il contatto si stava dissolvendo, lo sentiva: le voci erano sempre più distanti, le ultime parole confuse.
Merda!
“Come possiamo trovarla?”
Ci fu trambusto, parole su parole e poco di chiaro, gli spiriti erano impazziti, come se qualcosa li minacciasse e, proprio quando sembrava tutto finito, una voce, profonda e vagamente femminile, risuonò nelle loro teste:
Io sono tra di voi.
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Qualche giorno più tardi.
Ma che odorino, mi sento quasi a casa.
Settala sogghignava e se ne andava per i corridoi con una spavalderia rivoltante. Il puzzo di morte di quei corridoi poco illuminati che conducevano alla sala delle autopsie non era per niente molesto per le sue narici: per uno abituato alle fogne e alla perenne vicinanza con la fine della vita e dell’esistenza di un dannato, non era un problema esserne immerso, cosa che invece Lucrezia non riusciva a tollerare.
Si stringeva nel suo cappotto bianco e il colletto di pelliccia, tirato su fino al naso, uno blando scudo per quel tanfo che si insinuava tra la stoffa e la faceva inorridire visibilmente.
“La principessina viene nei bassifondi!” l’apostrofò con una stilla di sadismo “Guarda in che bei posticini vi porto, cara Lucrezia.”
“Come se ci venissi per puro divertimento.”
“Ah beh, a voi piacciono le cosette a modo, quelle che vi propone Borgia, forse. Avete già fatto i giochetti a luci spente?”
L’Inquisitrice lo fulminò senza emettere verbo.
Colpita e affondata.
“Settala, io ti giuro…”
“Lucrezia, mia cara!”
Ezio Colonna stava di fronte a loro, con un ampio sorriso. Rodrigo ampliò il suo ghigno cercando di modularlo in un sorriso: non ci riuscì, ovviamente. Era un mostro, e mostro rimaneva, la creatura più aberrante di tutti i sovrani della notte. Lucrezia, addolcendo i suoi tratti e sfoderando quel tratto puerile che tanto faceva impazzire gli uomini, gli rivolse un sorriso delicato e si avvicinò per farsi fare il baciamano.
Lui, alle sue spalle, roteò gli occhi al cielo. Si estraniò dalla conversazione che si poteva tradurre solo in “convenevoli”, limitandosi ad osservare il Colonna e il suo modo di guardare la giovane ragazzina, che riconobbe immediatamente.
Vecchia volpe, vorresti fartelo un giretto di giostra, mh?
Doveva ammetterlo, la D’Angiò ci sapeva fare con le persone. Ora capiva un po’ di più perché il De’ Ricci aveva preteso che l’accompagnasse: si era reso conto, forse per via della stessa appartenenza di clan, che lui non poteva interagire con gli altri senza risultare molesto, fastidioso nel migliore dei casi o finire a fare a pezzi qualcuno nel peggiore.
Lei invece era così naturale nel disquisire di stronzate, sembrava che veramente le interessassero e avesse a cuore ciò che il suo interlocutore stesse dicendo; in questo il D’Angiò era stato sicuramente un buon maestro, anche se lei aveva il punto in più di essere una femmina dall’aspetto innocente e quasi casto.
Quando finalmente ebbero finito di cinchischiare, Ezio li introdusse nella sala delle autopsie che gestiva attraverso le sue influenze mortali. Mi sono sincerato di eliminare ogni problema dal punto di vista umano, aveva detto, Lucrezia saprà bene di cosa parlo.
In realtà lo sapeva pure lui che i Ventrue avevano quel dannatissimo potere della Dominazione che faceva il lavaggio del cervello a umani e pure vampiri, se era molto forte, ma si finse ignorante per godersi il momento patetico di testosterone del nobile Invictus.
E adesso sì che crollerà ai tuoi piedi.
L’Inquisitrice si mise subito all’opera. I cadaveri da analizzare erano tre, un uomo e due donne. Avevano un profondo taglio sulla giugulare e qualcosa inciso sullo sterno, ma dalla sua posizione non riusciva a capire bene e quindi si avvicinò.
Il simbolo effettivamente era un marchio, scavato nella pelle fino a far vedere l’osso, colorato di una strana tintura che sui bordi era sbiadita. Il Crociato osservò meglio il disegno e inarcò un sopracciglio.
“Dunque?”
Lucrezia tornò ad ergersi dritta come un fuso, corrugando le sopracciglia in una smorfia di fastidio.
“Dunque è lapalissiano, Rodrigo.” Indicò il corpo del malcapitato e le uniche due ferite “Il modus operandi è lo stesso e tutti e tre i corpi posseggono questo simbolo: è stato compiuto un rituale, con queste vittime.”
“Sì ma…che significa il simbolo di una fiamma nera?”
La Regina non rispose.
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Eliseo di aprile 2018, Roma.
Il Gerofante rimuginava meditabondo mentre attorno a lui gli Accoliti parlavano di qualcosa di indefinito.
Nel corso di quel mese si erano attivati per scoprire di più di quella “fiamma nera” e tutto ciò che erano riusciti a carpire era un nome: Nemesi.
Aveva subito messo a lavoro Amalia e Selenia da Bologna; loro due, insieme, potevano cavare un ragno fuori dal buco, quando si trattava di cercare e reperire informazioni.
Era venuto fuori che Nemesi era una dea greca, della Giustizia per la precisione, ed era uno spirito che per molto tempo era rimasto sopito e che per uno strano motivo adesso era lì a fare dei danni abbastanza ingenti.
Non si era svegliata per caso, qualcosa l’aveva ridestata, ma sia la Nosferatu che la Mekhet non erano riuscite a capire cosa fosse quell’interruttore; una cosa era certa, però: la fiamma nera doveva entrarci qualcosa.
Gli spiriti lo avevano detto, e lui era assolutamente fedele a ciò che essi dicevano.
Non sbagliano, Goffredo, gli diceva la Madre quando gli insegnava i primi dettami della magia Cruàc, essi vengono da un mondo altro e al contempo vigilano il nostro. Hanno conoscenze che noi possiamo solo sfiorare, noi e solo noi.
Dovevano trovarla, parlarle, cercare di placare la sua ira, perché non poteva essere altrimenti: era iraconda e lo stava manifestando a pieni polmoni, con qualcuno che le dava del sangue con cui rafforzarsi.
I Santificati avrebbero venduto carte false pur di distruggerla, ma lui non poteva permetterlo.
Si alzò e lasciò soli gli altri megeriti. Aveva bisogno di riflettere da solo e senza il chiacchiericcio di sottofondo di un eliseo di per sé abbastanza noioso.
Uscì dalla stanza principale e cominciò a camminare per il corridoio, vagabondando senza una vera meta.
Poi, all’improvviso, avvertì una sensazione che gli pizzicò la nuca e scivolò lungo la schiena, un formicolio a tratti piacevole che lo fece bloccare, perché sapeva benissimo cosa significasse:
Lì, nei paraggi, c’era uno spirito.
Scattò qualcosa in lui, forse l’istinto di predatore che nei Selvaggi era più accentuato, sta di fatto che s’incurvò appena, annusando l’aria e cercando di individuare la direzione per potersi avvicinare di più.
Si mosse cautamente, seguì la pista e quando si trovò di fronte una porta, non esitò ad aprirla.
Impulsivo, dannatamente impulsivo.
Dentro alla stanza, c’era una figura incappucciata, ferma immobile di fronte a una finestra, lo spirito aleggiava intorno ad essa, ma non la stava possedendo.
Quella era una persona, vera e propria, forse quella che aveva da sempre controllato e nutrito la sete di Nemesi?
Il cappuccio calò.
Tra tutti i possibili volti che si era immaginato, quello non rientrava in nessuno degli scenari.
Non è possibile…
“Tu…”
“Non fate troppo fracasso, Goffredo. Non vorrete che si scopra che siete qui, mh?”
Non replicò, non ci riusciva.
E’ uno scherzo?! Un cazzo di scherzo?!
“Se ve lo state chiedendo sì, lei è qui. Nemesi.”
“Cosa volete farci?” sibilò
“Lei aiuta me e io aiuto lei, se così possiamo definirlo.”
Tacquero entrambi, per lunghi istanti. Poi, la figura continuò:
“Vuole parlare con voi.”
“Co…”
“Non osate intralciare il mio operato!”
Nemesi era lì, negli occhi di quella persona, nel suo corpo, nella sua voce. Lo guardava in cagnesco, furente, ma al contempo austera e fiera: una vera dea.
“Ma perché avete scelto questo corpo? Perché proprio questo?”
“La sua fiamma nera arde da anni orsono. Le sue lingue di fuoco mi hanno lambita e svegliata; ora mi nutro di quel fuoco e lo lascio divampare.”
“Se continuerete così vi distruggeranno!”
“Allora unitevi a me. Rendete possibile l’ultimo atto, così io sarò sazia e tornerò nell’Abisso, pronta a riapparire, qualora ne aveste bisogno.”
La connessione s’interruppe e lo sguardo di chi prima stava ospitando Nemesi tornò normale.
“L’atto finale” bofonchiò il Gerofante
“Non posso farlo senza l’aiuto di qualcuno. Non posso farlo senza di voi Accoliti.”
Seguì una conversazione densa e piena di rivelazioni, in cui spesso il Gangrel dimostrava segni di diffidenza e il suo interlocutore cercava di dargli una motivazione per fidarsi di lui.
Alla fine, dopo aver spiegato in linea generale la linea d’azione dei prossimi mesi, la figura, con tono stanco, disse:
“E se non vi basta come prova che mi faccia conquistare la vostra fiducia…”
Iniziò a sbottonarsi la camicia. All’altezza del petto, sullo sterno, spiccava un simbolo inciso sulla carne nuda e pallida, con sangue rappreso e una strana tintura nera a colorarne gli interni.
Una fiamma nera.
“…non potrò mai essere come prima. Mai più.”
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Maggio 2018 Palazzo dei Santificati, Roma
“Gioite Lucrezia, vi porto grandi notizie!”
L’Inquisitrice alzò distrattamente lo sguardo dal Testamento di Longino per volgerlo verso di lui, senza dire una parola, solo un cenno per incitarlo a continuare.
“Amalia. La Nosferatu megerita ha cantato. Ah! Si sta preparando un rituale bello grosso per lo spirito, ecco il motivo della sparizione di parecchie persone ultimamente.”
Lei inarcò un sopracciglio, segno che aveva imparato a decifrare con un “non sono convinta”.
Infatti non esitò a replicare:
“E com’è che una megerita viene a confidarsi di questioni di spiriti con un Crociato dei Santificati?”
“Ah!” Rodrigo non contenne un gesto di stizza “Quel cazzo di mostro ha distrutto le nostre catacombe, il territorio dei Nosferatu e qualcuno ci è morto lassotto. Noi siamo più uniti di quanto si possa pensare come clan, mica come voi Re, che giocate a chi ce l’ha più grosso.”
Lucrezia non disse nulla, conscia del fatto che per una volta lo Spettro ne aveva detta una giusta.
“Quindi cosa facciamo?”
“Ma è naturale.” Rodrigo tirò fuori la spada dal fodero e cominciò a farla roteare fendendo l’aria, come un bambino che gioca con il suo giocattolo preferito. “Ho voglia di fare il culo a qualche megerita: l’ho sempre saputo che ci fossero loro dietro. Andremo dove faranno il rituale e…”
“No, Rodrigo.” Sentenziò la D’Angiò scuotendo il capo “Non potete usare le armi contro chi ha gli spiriti dalla sua…viaggerete sempre in strade diverse e a tratti sbilanciate. Dobbiamo giocare d’anticipo e invertire l’effetto del rituale, così il loro stesso potere gli si ritorcerà contro.”
Non ha tutti i torti. Però che palle!
“Quindi, dove lo faranno il rito?”
“Al Pozzo del Diavolo, a Gaeta.”
Lucrezia ebbe un brivido.
“Bene. Partiremo una sera prima dalla data del rituale, mantenete i rapporti con Amalia…forse prima delle serate del Piagnaro riusciremo a portare un risultato all’Inquisitor Maior.”
Rodrigo già si pregustava le nomine e tutte le onoreficenze che avrebbe fruttato tutta la spedizione: sul suo viso, infatti, si era dipinta un’espressione libidinosa in piena estasi.
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Luglio 2018, Pozzo del Diavolo, Gaeta
Scesero dalla macchina di fronte a un’indicazione per il Pozzo del Diavolo, raggiungibile solo a piedi.
Lui non stava più nella pelle: non vedeva l’ora di far soccombere quei figli di puttana straccioni, anche se non l’avrebbero fatto a modo loro, era contento di essere lì prima e di aver anticipato le loro mosse lavorandosi Amalia con lo spirito di appartenenza al clan degli Spettri.
Lucrezia, alle sue spalle, era tranquilla.
Non aveva fatto altro che leggere per tutto il tempo, ripassava gli elementi da cambiare del rituale, ripeteva alcune parole come se fossero mantra e lui, d’altro canto, l’aveva lasciata in pace, andandosi a divertire nella città marittima che di sera si animava di tantissime prede di tutte le età e gusti.
Man mano che si avvicinavano il gorgoglio del mare diventava più forte, in un climax che raggiunse il suo apice quando arrivarono a una piazzola di pietre ed erba, con al centro un grosso buco da cui proveniva il rumore delle onde.
Lucrezia gli aveva raccontato delle leggende che giravano intorno a questo luogo, ma lui se ne era fregato altamente, fingendo di ascoltarla.
“Vedete?”
Il braccio sottile della ragazzina indicò il simbolo che ormai rappresentava il nemico, la fiamma nera.
Avrebbero dovuto creare degli altari che avrebbero invertito il potere o alterato in qualche maniera da ledere agli officianti.
Rodrigo si mise subito all’opera, seguendo le indicazioni dell’Inquisitrice e si mise tutto chino su quei ciottoli con simboli di gesso a lui ignoti.
Brutti figli di puttana, voi e i vostri demoni maledetti, brucerete all’inferno…mh? C’è qualcosa di strano nell’aria.
“Statemi vicina, che credo che non siamo…”
Ma non fu in tempo a finire che quattro uomini gli furono addosso, inchiodandolo al suolo.
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Rodrigo ringhiava e si dimenava come un pazzo, forse troppo.
“Fatelo stare zitto. Non siamo in campagna, potrebbero sentirci.”
Lo sollevarono e uno dei megeriti gli rifilò un destro alla bocca dello stomaco, che lo piegò in due.
“Non sei contento Rodrigo? Siamo tutti qui in anticipo per far la festa.”
Si godette la sua espressione quando sentì quelle parole e soprattutto la sua voce. Lentamente lo vide alzare il capo e nei suoi occhi lesse la sorpresa, quella vera, quella che mai credeva di potergli vedere in faccia.
Durò poco infatti: in quel pallore vitreo comparve immediatamente la furia omicida, la rabbia di un animale in gabbia e, ancor peggio, di un uomo tradito.
“Lu…Lucrezia…”
Gli sorrise malvagiamente. Il suo nome lo aveva detto tante volte, ma quell’affanno, quel rancore, lo rendevano più appagante.
“SCHIFOSA PU…”
Fu il Gerofante a partire con una ginocchiata, ancora allo stomaco. Gli ringhiò contro e poi si spostò, cercandola con lo sguardo, in attesa. Lei annuì, impercettibilmente e Rodrigo fu portato al centro del piazzale, vicino al Pozzo, mentre ansimava qualcosa, tra un’ingiuria e l’altra:
“…ti fotti…cazzo…i megeriti? Merda…forse pure i…demoni!”
“Non sono demoni: essi donano molti poteri, se nutriti al modo giusto. Mio padre aveva ragione a dire che fossero angeli…”
“Tuo padre era un eretico!”
“MIO PADRE…” gli si avvicinò, con un ringhio roco in gola, abbassando repentinamente il tono di voce “…è morto. Morto, per colpa tua Rodrigo Settala.”
Notti passate ad odiarti, notti intere a pensare a come ucciderti…
Kaine le fu al fianco per porgerle un coltello dalla lama ondulata, il suo athame, che prese nella mano destra, impugnandolo saldamente.
“…vuoi…uccidermi, ragazzina?”
“Non solo. La tua morte mi darà potere, perché quello che tu chiami demone me lo donerà; io lo voglio, il potere: sono una Regina e tu un lurido topo di fogna che merita la distruzione.”
Gli Accoliti intanto avevano predisposto tutti gli ingredienti per il cerchio, il suo potere si stava già propagando nell’aria e Nemesi, che mai l’aveva lasciata sola, fremeva dalla sete.
Sono anni che aspetto questo momento.
Poi ci fu sangue, a fiumi. Lucrezia si avventò con una furia cieca sul corpo immobilizzato dello Spettro, fin quando le coltellate furono così tante da renderlo troppo debole per muoversi. Disegnò il simbolo della fiamma nera, il simbolo di Nemesi che, al suo fianco, rideva e si tratteneva ormai a stento; poi guardò per l’ultima volta le vestigia di quello che fu un Crociato, un Nosferatu, una spia e un assassino.
Il Coro dei Megeriti intanto recitava:
“Nel nome di Nemesi, vendo quest’anima. Nel nome di Nemesi la sua fiamma sarà nutrita e nel suo nome faccio della vendetta il mio vessillo!”
Io me lo merito!
Si avventò sulla sua gola e affondò i canini rimanendovi fin quando non sentì il corpo sciogliersi in cenere.
Crollò sulle ginocchia, Nemesi l’avvolse nel suo abbraccio, poi non sentì più niente.
Quando riprese conoscenza, erano ormai lontani dal Pozzo del Diavolo e vicino al suo letto c’era il Gerofante, seduto a braccia conserte e gli occhi puntati sul suo viso.
Nemesi ti ha fatto qualcosa, le aveva detto, ti ha dato qualcosa.
Era vero. Si sentiva diversa e aveva delle percezioni diverse: il Gangrel le aveva spiegato che si trattava della magia di Cruàc, che aveva preso il posto della Stregoneria Tebana, il potere dei Santificati; probabilmente lo svenimento era dovuto a questo cambio di forze opposte che era avvenuto nel suo essere.
Nemesi non era lì con lei, però. Se ne era andata, come aveva detto, nell’Abisso.
“Me lo aveva detto” disse “La fiamma sarebbe divampata con gran forza e poi si sarebbe spenta.”
“Tornerà?”
Non lo sapeva. Forse avrebbe dormito per altri tre secoli e poi si sarebbe ridestata al richiamo di un’altra fiamma nera, forte quanto la sua.
Si sfiorò il petto dove albergava il marchio di Nemesi.
Era arido, spento, non più pulsante; nonostante ciò era certa che se fosse tornata lo avrebbe percepito: ormai erano legate e lei era una dei suoi oracoli.
“Cosa farete adesso, Lucrezia?”
“Dovrò fare rapporto all’Inquisitore De’ Ricci. Rodrigo Settala era un traditore che ha cospirato con lo spirito, in cambio di un potere che non aveva mai potuto ottenere da solo: in nome di Longino, è morto per mia mano.”
Sì, come discorso filava abbastanza. Avrebbe preso gli onori del caso e il nome di quel bastardo sarebbe stato per sempre macchiato di un’onta che nemmeno suo padre di era mai permesso di violare: nelle fila dei Santificati, il nome dell’eretico D’Angiò si sarebbe presto dissolto per fare il posto a quello del Nosferatu che aveva fraternizzato con un demone, tradendo i sani principi della Lancea Sanctum.
Il Gerofante le disse che il Circolo della Megera aveva le porte spalancate per lei, ma non accettò l’offerta.
Era conscia di non poter essere ciò che era prima, eppure nella sua mente balenava ancora l’idea suicida che aveva pensato mentre suo padre diveniva cenere sotto il suo morso.
Lui sembrò capirla, stranamente. Goffredo si era dimostrato in quei mesi molto comprensivo, una guida: era lì a guardarla e confortarla, mostrando cenni di preoccupazione in un modo che a tratti gli ricordava Federico.
“Nemesi era la dea della Giustizia” le disse, a un certo punto “Perché allora ha scelto voi?”
“Quale giustizia migliore ci può mai essere, se non la vendetta?”
Il declino era appena cominciato e, man mano, sentiva lacerarsi le stille di umanità che la rendevano la ragazzina di diciassette anni, dolce e candida come la neve; qualcosa la stava schiacciando sempre di più per lasciare posto ad una nuova immagine, un nuovo essere.
Un mostro.
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Settembre 2018, Tempio dei Megeriti, Roma
“Non tornerà, Goffredo. Hai preso un abbaglio e ti sei fatto infinocchiare da un visino di ragazzina.”
Kaine camminava avanti e indietro gesticolando freneticamente. Non aveva accettato il fatto che il Gangrel avesse lasciato andare Lucrezia, soprattutto perché sapeva che sarebbe tornata nel covo delle serpi, nella Lancea Sanctum.
Se avesse vuotato il sacco? Se fosse stata una voltafaccia?
No, no. Lei non l’avrebbe mai permesso, avrebbe usato le maniere forti se fosse servito, ma Lucrezia D’Angiò non sarebbe mai andata dall’Inquisitore De’ Ricci così a cuor leggero.
Non si fidava, questo era palese.
Dal primo momento in cui era venuta a conoscenza della faccenda da Goffredo, da quando all’eliseo di Aprile si erano visti segretamente, lei non l’aveva vista di buon occhio e la foga con cui si era avventata sul corpo del Nosferatu le aveva messo una strana inquietudine addosso, data dalla consapevolezza che quella lì era pericolosa.
Meglio averla come amica o fuori dai giochi.
O con noi o alla luce del sole.
“Tornerà”.
Il Gerofante era tranquillo, lo era sempre stato. La sciamana non capiva come facesse: lei si stava arrovellando e lui invece placidamente sedeva sulla sua sedia, come se niente fosse.
Le dava i nervi.
“Tornerà, Kaine. Non preoccupatevi. Lei non è più una Santificata, non può più esserlo: la Stregoneria Tebana non le appartiene, lo avete sentito anche voi.”
“Sono passati due mesi!”
“Tornerà.”
Oh, se non dovesse farlo metterò fine io alla sua esistenza. Per fortuna sono immune al fascino di puerili ragazzine rosse.
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Ottobre 2018, Tempio dei Megeriti, Roma
La camminata caracollante di Goffredo lo stava portando nel corridoio principale del Tempio del Circolo, in cui si respirava un’aria tranquilla e pacata.
Gli spiriti erano stabili e nulla minacciava quella stabilità e il Gerofante ne era soddisfatto.
Ogni volta che passava davanti a una stanza aperta, dava un occhio per vedere cosa e chi vi fosse dentro: ogni tanto trovava una camera vuota, ma spesso e volentieri c’era un Accolito intento a fare le proprie cose.
Qualche cenno di saluto, domande e richieste di chiarimenti e via, il giro di perlustrazione notturna continuava.
Arrivato all’ultima stanza, una di quelle aperte da poco, vi si fermò più del solito per guardarci dentro, stanziando sulla soglia, immobile.
La camera era in ordine, pulita, con un grosso cerchio di gesso disegnato sul suolo e simboli celtici ad adornarlo. Al centro, a gambe incrociate, sedeva la figura di una piccola donna, con gli occhi chiusi e il corpo fermo in una profonda ricerca di concentrazione, senza però riuscire ad arrivarvi.
Goffredo guardò bene i simboli per terra e vide due errori: due segni dovevano essere cambiati.
“Sposta quelle due rune” tossichiò indicandole
Lei aprì gli occhi di colpo sobbalzando. Prontamente le cancellò e le ridisegnò con minuzia di particolari.
“Grazie”
Non le rispose ma si limitò a guardarla. Era magra, pallida, con diversi simboli neri disegnati sui dorsi delle mani, sulle spalle, sulle clavicole. Si focalizzò su di essi, soppesandone la fattura e i significati esoterici.
Notevole.
Lo aveva sempre creduto, a dire il vero.
“Buon lavoro, Lucrezia.”